Pizzo, condannati Domenico Mammi e Sergio Macaluso A gennaio avevano minacciato noto ristorante palermitano

La giudice Wilma Angela Mazzara ha deciso: condannati Sergio Macaluso e Domenico Mammi, il primo a sei anni di reclusione, il secondo a cinque anni e quattro mesi, per tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso ai danni di un noto ristorante palermitano. L’episodio risale al 13 gennaio scorso. L’accusa aveva chiesto una condanna a sei anni per entrambi e novemila euro di multa, abbassata dalla giudice a seimila euro per Macaluso e cinquemila per Mammi. Mentre l’avvocato Angelo Formuso, incaricato della difesa dei due imputati, aveva chiesto la piena assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, e in ogni caso di escludere l’aggravante mafiosa. Nel solo caso di Macaluso, il legale aveva chiesto l’eventuale riqualificazione del reato in violenza privata. Richieste avanzate alla fine dell’arringa di questa mattina, con la quale il difensore ha cercato di scardinare punto per punto l’impianto accusatorio dei pm discusso a luglio scorso.

«La ricostruzione dell’accusa è stata suggestiva, riduttiva e fuorviante», è stata la difesa dell’avvocato Formuso. «Sposta l’attenzione su altri fatti, come la presunta amicizia con il boss Vito Galatolo. Fatti che reputo fuori luogo, non collegabili all’episodio oggetto del processo», ha proseguito, contestando apertamente i presunti contatti che, sempre secondo i pm, Macaluso avrebbe cercato di avere con i diretti referenti a Palermo dell’ex boss, Renato Farina e Vincenzo Graziano detto Viciuzzo, per portare a termine un progetto di intestazione fittizia di un bar-panificio in viale Strasburgo insieme a Filippo Buonanno. Tra le contestazioni dell’avvocato, quella secondo cui l’accusa avrebbe impostato l’intero processo sulle sole dichiarazioni dei proprietari del ristorante vittime del tentativo estorsivo.

«Non tutto quello che viene dall’imputato è vizio né quello che viene dalla vittima può essere sempre virtù», ha asserito ancora il difensore, secondo il quale ci sarebbero dei ragionevoli dubbi in merito alla versione fornita da uno dei proprietari. In particolare il legale si riferisce alle dichiarazioni del titolare che da subito aveva dichiarato di essere stato invitato a uscire dal locale sia da Macaluso che da Mammi e di aver subìto la minaccia da parte di entrambi. «Le immagini delle otto telecamere smentiscono quanto riportato dalla presunta vittima. Lui si trovava già fuori e le riprese mostrano una conversazione breve e tranquilla solo con Macaluso. Mammi torna subito in macchina con la pizza in mano – dice ancora il legale – Ed è questo il mio tormento più grande: perché si trova coinvolto in questo processo uno che non ha fatto e detto niente? Da cosa deve esattamente difendersi Domenico Mammi?».

Durante l’udienza di questa mattina si è discusso anche dell’aggravante mafiosa: «La famosa frase mettiti a posto è ormai in disuso nelle condotte estorsive – ha detto Formuso -, non le si può attribuire valore di minaccia. Non voglio dire che il proprietario l’abbia inventata, ma potrebbe darsi che abbia frainteso le affermazioni di Macaluso, il racconto è poco attendibile. Le dichiarazioni dell’imputato e del proprietario si collocano sullo stesso piano, con la sola differenza che uno è libero e l’altro no», ha concluso il difensore. Nessuna replica da parte dei legali delle parti civili Salvatore Caradonna, difensore dei proprietari, Ugo Forello e Valerio D’Antoni, rispettivamente per l’associazione antiracket Fai e il comitato Addiopizzo.


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