«Più spesso è il pastrano, più si è civili» Conversazione sui pregiudizi Nord-Sud

Lunedì sera mi sono alzato e me ne sono andato da una presentazione dell’ultimo libro di Matteo Collura, in un magnifico posto del delizioso paese di Trecastagni, sulle falde dell’Etna, Sicilia.

La mia pazienza ha retto la lezione di civiltà impartita dall’autore invitato – agrigentino, giornalista e scrittore emigrato al nord, che vive a Milano da molti anni –, superando il primo capitolo sulla sosta in auto in doppia fila, che le persone civili del nord non fanno. Ho superato anche il secondo passo, sul senso di rispetto della fila che ai siciliani manca, e che invece non fa difetto alla gente del nord. Il terzo capitolo è stata una lezione di giornalismo, in cui è stato portato a esempio di quotidiano-verità Il Giornale della famiglia Berlusconi. Al quarto capitolo, non ho retto. Riporto testualmente le parole di Matteo Collura: «Tra i popoli della Terra, c’è una correlazione diretta tra latitudine e grado di civiltà: più spesso è il pastrano, più si è civili». Non ce l’ho fatta a resistere, mi sono alzato e me ne sono andato.

Ma stamattina ho fatto due chiacchiere con Giuseppe Lazzaro Danzuso, noto giornalista e scrittore catanese, anche tramite Facebook.

Sergio Mangiameli: La considerazione che mi viene subito è questa: se fosse stato corretto, Collura avrebbe dovuto parlare anche delle centinaia di sbarchi quotidiani di disperati africani, accolti in questi giorni a braccia aperte da noi siciliani. Avrebbe dovuto dir questo e contemporaneamente ricordare che chi dice “scimmia” a un ministro della repubblica italiana è gente accreditata che vive col pastrano otto mesi all’anno. Allora: civiltà è non parcheggiare in doppia fila o accogliere vite umane?

Giuseppe Lazzaro Danzuso: Ogni tanto torno a parlare di quello che definisco complesso d’Eufemio: il condottiero messinese, cacciato dalla Sicilia, mosso dall’odio, consentì ai musulmani di conquistarla. Tanti di quelli che hanno avuto successo fuori dall’Isola amano parlarne male. E tanti di quelli che la abitano amano parlarne male, ripetendo che vorrebbero andarsene. È una tecnica: serve a chi riesce a trarne profitto – o a chi è psicologicamente debole – a evitare critiche, prendere le distanze, distinguersi, non mescolarsi. È una tecnica e si poggia sul pregiudizio. Il buon Collura, come giustamente sottolinei, ha i suoi, di pregiudizi: considera un peccato mortale il parcheggio in seconda fila – ampiamente praticato, d’altra parte, a Milano, ma certamente dai terroni che la infestano – e non il razzismo leghista. Che invece, per te e per me è parecchio sgradevole. Sono scelte.

Un mio parente prossimo, che, abita a Catania ma legge solo Il Corriere, è d’accordo con Collura. I milanesi di qualunque latitudine amano considerarsi migliori degli altri, anche se non è vero. Così predicano il loro vangelo di luoghi comuni, a cominciare dal cardine di questo tipo di pensiero: la stanzialità della mafia. Una filosofia che peraltro ha ricadute notevoli sull’economia: ha consentito infatti negli ultimi quarant’anni di sottrarre sistematicamente risorse economiche ingentissime al Sud con la scusa che, altrimenti, avrebbero alimentato la piovra. La mafia, intanto, nel silenzio assordante di questi grandi giornalisti e intellettuali siciliani in Lombardia, che avrebbero dovuto riconoscerne i germi, da vent’anni prolifera al nord. Sotto l’occhio condiscendente dei grandi giornali milanesi, convinti che i dané non hanno odore.

La dimostrazione? Pensate a una Regione in cui, in pochi mesi, viene messo sotto processo il governatore, vengono arrestati quattro assessori, uno dei quali per mafia, e denunciati oltre cinquanta consiglieri per malversazioni varie. È accaduto in Lombardia e tutto va avanti come se nulla fosse. In Sicilia avrebbero mandato l’esercito. E a chiederlo a gran voce sarebbero stati tutti gli eufemi di cui siamo pieni.

SM: Credo che sia ora di finirla di applaudire a comando a questi personaggi che vivono altrove, vengono invitati e sputano sulla terra di cui sono pregni. Ognuno col proprio ruolo, credo che bisogna avere il coraggio di prendere posizioni chiare. O no?

GLD: Purtroppo non è facile prendere posizioni chiare in una società tanto complessa e lacerata, che vive di pregiudizi fortemente radicati e non ha più il tempo di ragionare. Se per esempio dicessi che sono per la responsabilità civile dei giudici, che lo ritengo un fondamento di civiltà, mi darebbero subito addosso, pensando magari che voglio sostenere l’impunità di Berlusconi. Se dicessi che non sono affatto contrario al Ponte sullo Stretto chissà quanti mi attaccherebbero. E quante critiche riceverei se dicessi che quel Giornale di cui parlavi prima, a volte è riuscito a tirar fuori inchieste interessanti anche se parziali, nonostante abbia una linea politica che non posso condividere.

Il problema, dunque, sta nell’approfondimento dei temi, nella volontà autentica di capire. E sta nell’evitare quella visione radicale, quel manicheismo che è la madre del pregiudizio. Un pregiudizio che però, ricordiamolo, ha il pregio di consentire a chi non è intelligente a sufficienza, di avere una qualche padronanza del mondo.

Sergio Mangiameli

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