Piccolo diario dei luoghi comuni

L’altro giorno ero in coda in una libreria al Politecnico ed osservavo… Ascoltavo accenti e osservavo le facce dei ragazzi e ragazze che il “Polietnico” accoglie. Me ne stavo zitto, tranquillo, rispettoso nella mia posizione in coda, ascoltavo ed osservavo.

Dei giovani che decidono di venire su a Torino a studiare si possono in linea di massima individuare cinque macroregioni (che, se si vuole, possono ridursi a due: il regno delle due Sicilie con l’aggiunta della Sardegna). C’è quella pugliese (ossia quella da dove provengo io), quella siciliana, quella calabrese, quella campana ed infine quella sarda. Numericamente inferiore, ma comunque molto presenti, sono anche lucani ed abruzzesi. Il resto d’Italia è molto meno presente, forse perché probabilmente gode di strutture migliori che da noi al sud in generale (anche se, va detto, ci sono sempre più meravigliose eccezioni ), quindi di conseguenza si spostano di meno. Ed ecco qui, soffermandomi sulle cinque “macroregioni” meridionali, come la vedo io:

Il pugliese. Benché sia la mia regione non è tanto facile individuarne l’appartenenza. È una regione molto alternativa, la mia. In generale al primo sguardo becchi subito i salentini, in quanto quelli che stanno “abbasciu a lu capu” appaiono sempre molto freakkettoni. Il resto è variegato proprio come lo è il dialetto, che varia come in poche altre regioni d’Italia. Il pugliese medio è “casinaro” come pochi ed alquanto indipendente: dove c’è baldoria e intrallazzi vari c’è, è dappertutto.


«Il pugliese è alternativo».

Il siciliano. Oltre che per l’aspetto, spesso inequivocabilmente “moro”, lo si può riconoscere dall’habitat che tende a ricrearsi intorno. Sovente è in un gruppo con altri corregionali, forse per sentirsi un po’ a casa anche quando a casa non è. Legare con i siciliani tuttavia è tutt’altro che difficile. Sarà perché siamo tra “conterronei”, ma il caso ha voluto che tra gli amici più stretti quassù io abbia proprio dei siciliani (per la verità vi è anche qualche ingerenza calabrese).

I siciliani sono estremamente critici verso la loro terra (i più, di quelli che conosco, hanno grande coscienza della Mafia e del male che rappresenta; ciò mi rallegra non poco). Più di chiunque altro, forse, i siciliani sono orgogliosi della loro terra. Possono criticarla, e la criticano. Ma a farlo devono esser solo loro.


«Il siciliano è orgoglioso».

Il calabrese. L’aspetto, il modo di vestire dice tantissimo di lui. E’ forse quello più “omogeneo”: se è calabrese, è così e non si sbaglia! Chiuso. Quando penso al calabrese mi vengono in mente soppressate ed insaccati vari, insomma roba fatta per “passare l’inverno”. Ricordo come se fosse ieri il mio amico Giuseppe: cercava casa e trovò il mio annuncio, pareva venisse da Marte, tutto di nero vestito: un pò “old style” (molto old), direi. Detto questo però, una volta oltrepassata la diffidenza, quelli che ti parevano difetti si rivelano pregi. Si sta bene con i calabresi.


«Il calabrese è testardo».

Il campano. Se proveniente dall’area metropolitana di Napoli lo riconosci al volo, per una certa “spocchia” e per quel velato e mai taciuto fino in fondo senso complesso di superiorità furbesca. Se proveniente dalla provincia più esterna (avellinese, beneventano), appare molto più placido e sornione ma sempre “attento al servizio”. Non arrivi quasi mai ad avere problemi con i campani, specie se napoletani: qualunque cosa succeda presto o tardi si finisce a “tarallucci e vino”, son simpatici i campani.

«Il campano è furbo».

Il sardo. E’ un soggetto spesso da prendere con le molle. Se non ci si intende bisogna avere non poca pazienza ed usare l’arte della mediazione. Mediamente il sardo ha sempre l’impressione che stiano cercando di fregarlo o prenderlo in giro. Per natura è sospettoso. Molto spesso fa riferimento alla propria regione come se questa fosse situata su Giove, il che introduce quell’innegabile elemento di lontananza. Si fatica più che con altri per ottenere la loro fiducia, ma alla fine generosi come i sardi ce ne son veramente pochi. Danno tutto quello che hanno, l’importante è che si stia bene.

«Il sardo è sospettoso».

Credo di aver soltanto giocato un po’ con gli stereotipi, e dopotutto era questa la mia vera intenzione. Non conosco una Torino alternativa a questa e quindi non so dirvi se senza tanto meridione questa città sarebbe migliore o peggiore.

Torino è quella che è. Così come si presenta adesso, oserei dire appunto molto meridionale e tremendamente innovativa, veramente “europea”. È una città con un piede già nel futuro. Probabilmente un domani io tornerò a casa, o magari da qualche altra parte, un posto vicino al mare, dove poter godere di ritmi più consoni ai miei, quelli originari.

Probabilmente Torino potrà pure non più piacermi del tutto fra qualche tempo, ma quello che non potrò mai negare è che qui sto passando formidabili anni della mia vita. Qui son diventato adulto e qui ho conosciuto l’Italia e lo splendido valore delle persone che dopotutto la compongono. Torino, ma più in generale l’Italia, rappresenta uno splendido posto in cui vivere.

“L’America” è a casa nostra.


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