«Dimostrate di non essere in grado di pensare al futuro dei nostri figli». Parola di Sebastiano Arcidiacono, uno degli animatori - assieme a Manlio Messina e a Niccolò Notarbartolo - del Consiglio comunale che poco prima dell'una del mattino ha approvato una nuova versione, l'ennesima, del piano di riequilibrio
Piano rientro, sì a nuova rimodulazione dei debiti I 140 milioni di disavanzo da pagare in trent’anni
«Assessore, quando lei tornerà a casa dica ai suoi figli la verità su chi ha amministrato questa città e su come l’ha amministrata». Manlio Messina questo lo dice con con tono pacato. Che la nuova rimodulazione del piano di rientro del Comune di Catania si sarebbe votata oggi era chiaro già all’inizio della seduta del Consiglio comunale. L’aula era mezza piena e, nonostante i tentativi di rinviare tutto a un altro momento e i lunghi interventi degli esponenti dell’opposizione (Sebastiano Arcidiacono e Messina su tutti), alla fine il sì è arrivato. Con 22 consiglieri presenti, 15 voti favorevoli (un terzo del totale dei consiglieri comunali) e sette astenuti.
Nonostante il numero legale ci fosse, i dubbi sulla regolarità di questo voto si addensano. Il primo è quello sulla scadenza per la votazione della delibera di rimodulazione, fissata dalla legge al 31 maggio. Il ritardo di un giorno sarebbe stato aggirato con la scelta di riunirsi l’1 giugno in prosecuzione della seduta di mercoledì. Una valutazione burocratica che potrebbe non reggere di fronte alla necessità che ad approvare la rimodulazione, nel merito e nel metodo, sia la magistratura contabile. Altro punto sul quale la battaglia si fa infuocata riguarda l’inammissibilità di tre emendamenti e un sub-emendamento, certificata – in prima battuta – solo dal ragioniere generale. «In qualità di soggetto proponente dell’atto», spiega la presidente del Consiglio comunale Francesca Raciti. «Non sta né in cielo né in terra che chi propone una delibera possa decidere sull’ammissibilità degli emendamenti, come un dominus assoluto», rettifica il consigliere Agatino Lanzafame. Mentre il suo collega Messina minaccia di presentarsi in procura per denunciare l’irregolarità.
Ma le obiezioni non bastano. Col sollievo dell’assessore al Bilancio Salvatore Andò che si ritrova la possibilità di spalmare il disavanzo amministrativo su trenta anziché su dieci anni. Centoquaranta milioni di euro, da coprire «per quote costanti, pari a un 26esimo del valore complessivo», a decorrere dal 2013. In altri termini: a Palazzo degli elefanti toccherà pagare debiti per altri 26 anni, con una rata annuale di cinque milioni e 888mila euro. Se è vero, però, che per gli anni successivi al 2017 la quota di debiti da pagare risulta significativamente inferiore, lo stesso non può dirsi per l’anno in corso: il vecchio piano di riequilibrio prevedeva una rata da tre milioni di euro. Adesso, invece, sale a quasi sei milioni.
Una variazione che, secondo la delibera, dovrebbe essere coperta con l’«incremento delle aliquote Imu», cioè dell’introito che arriva nelle casse del municipio dalle tasse sugli immobili pagate dai cittadini. L’aliquota applicata ai catanesi, però, è già al massimo e per legge non può essere incrementata ulteriormente. «Quindi le ipotesi sono due: la prima è che siano state costruite, nell’ultimo anno, abitazioni sufficienti a coprire i quasi due milioni e mezzo di euro che ci servono per quest’anno – ironizza il consigliere comunale Niccolò Notarbartolo – La seconda è, invece, che si siano fatti più accertamenti sull’evasione. Ma allora perché non sono stati fatti prima?».
«Quello che sta avvenendo in quest’aula è semplice – interviene Sebastiano Arcidiacono – Stanno scegliendo di tirare un sospiro di sollievo oggi anziché lasciare ossigeno alle future generazioni». Il punto, però, al di là dei trent’anni è la fattibilità del riequilibrio economico finanziario. Come spiegato da MeridioNews in occasione della precedente rimodulazione (quella votata a settembre, mentre in aula c’era ancora l’assessore Giuseppe Girlando), le misure previste per rientrare dal disavanzo dipendono spesso da previsioni di entrate che non sono facilmente dimostrabili. Dalle alienazioni dei beni immobili (nel 2017 è tutt’ora previsto di vendere nove milioni e mezzo di euro del patrimonio pubblico) alla ridistribuzione degli utili delle società partecipate (non ancora avvenuta, anche perché le partecipate che producono utili si contano sulle dita di una mano).
In mezzo c’è anche la previsione che riguarda le entrate della cartellonistica pubblicitaria. Ma il bando per gli impianti cittadini è stato bloccato dal Tar, così le somme che erano state considerate almeno per quest’anno non arriveranno.Ombre che pesano sulla tenuta del piano e che, secondo molti, potrebbero essere evidenziate dalla Corte dei conti dopo che – se incasserà il benestare del ministero dell’Interno – la rimodulazione del pagamento del disavanzo (che tecnicamente è la differenza tra entrate e uscite) passerà al vaglio della magistratura contabile. Che dovrà attestarne la sostenibilità.