Negli ultimi due anni ha girato la Sicilia vendendo libri e promuovendo la lettura. Adesso Filippo Nicosia ha deciso di lanciare una nuova iniziativa a Messina. «La cultura non può essere gratuita e il progetto rischiava di snaturarsi». I limiti culturali della nostra Isola? «Non serve stimolare il muscolo della lettura dei ragazzi, ma quello della curiosità»
Pianissimo chiude: dal furgoncino alla libreria bistrot «Più cercavamo di vender libri, più si parlava di poesia»
«Non lo voglio fare più, Pianissimo. L’ho capito lontano dai complimenti e dalle lodi, dal protagonismo in cui mi ero cacciato». Filippo Nicosia ha definitivamente parcheggiato il furgoncino carico di libri con cui negli ultimi due anni ha girato la Sicilia, la Puglia e Milano. «Più io, Mauro, Chiara, Maura, Serena, cercavamo di parlare di vender libri più si parlava di poesia, come se non fosse poetico metter qualcosa sotto i denti», spiega nel suo ultimo post sul sito del progetto. Una sconfitta? «Tutt’altro – spiega il 31enne editor – è finita che mi scriveva chiunque, mi chiedevano di organizzare letture nelle scuole, ma non è quello che volevo fare, non è nella mia formazione, io leggo perché mi piace e volevo vendere libri. Forse anche per mio demerito è stata interpretata più come un’iniziativa poetica, romantica. Per me era una storia di ribellione, era una provocazione, una scorribanda. Per questo era bella».
Il modello inventato da Nicosia nel 2013 – un tour, che poi sono diventati cinque, portando in giro per l’Isola una libreria itinerante e promuovere la lettura – aveva attirato l’attenzione di tutti i media. «Prima di Pianissimo facevo l’ufficio stampa e cercavo un modo per uscire dal precariato. Funzionò, le vendite sono andate bene – racconta – Ma non si può viaggiare sempre se hai anche un altro lavoro, ho deciso di tornare alla stanzialità». Ha aperto Colapesce, una libreria bistrot a Messina, la sua città. Con una sala lettura, un bar e la connessione wi fi. «Il modello di Pianissimo in un certo senso non è cambiato – spiega – le librerie devono tornare a essere piccole, serve un rapporto diretto con gli editori per avere non solo le novità ma l’intero catalogo, bisogna costruire percorsi, un po’ come sta facendo Feltrinelli; il libro deve dare l’idea di connessione con il mondo, non è un sacrario. Colapesce è un posto dove vivere».
Nicosia nell’ultimo biennio ha girato la Sicilia e la Puglia, un tour ha anche riguardato Milano. Ma alla fine è tornato nella sua città. Il contesto di Messina, apparentemente poco ricettiva a nuovi stimoli culturali, non lo impensierisce. «Non ho controllato le statistiche di lettura, altrimenti non avrei aperto qui – scherza – io credo che esistono bisogni che le persone non sanno di avere. Molti conoscono solo le necessità che qualcuno gli mostra, ma la lettura non è come la fame, è un’altra cosa. Come faccio a dare la colpa ai ragazzi di 20 anni perché non leggono se sono usciti dalla scuola attuale? Il ragazzo va lasciato libero di appassionarsi, senza recinti, non serve stimolare il muscolo della lettura, ma quello della curiosità. I lettori assorbono quello che sono in grado di assorbire, non sta agli editori dettare la linea editoriale del Paese, questo è compito della scuola, dell’università, del mondo della formazione».
Il passaggio da un vecchio furgone itinerante a una libreria bistrot riguarda anche il valore economico da dare al lavoro. «Volevo pagare le persone che mi aiutavano, perché la cultura non può essere sempre gratuita, ma il progetto non sarebbe stato più sostenibile. Nessuna vera cultura può produrre sottoproletariato – continua – i miei coetanei dovrebbero smetterla di lavorare gratis».
Non c’è posto per i rimpianti adesso che Nicosia si è buttato nel nuovo progetto. «La cosa più bella che mi porto dietro è essere riuscito a trasformare la rabbia di due anni fa, quando non capivo come fare per vivere nel mondo dei libri, in qualcosa di costruttivo», spiega. «Quando si parla di iniziative culturali si finisce sempre per buttarla in politica – conclude nel suo ultimo post – annettere ai propri fallimenti quelli della città, della regione, dello stato. Mi chiedo se questo non sia un tipico atteggiamento discriminatorio: noi siamo i buoni, quelli che lavorano sui libri, mentre “gli altri”, i non-lettori ( che definizione idiota!), sono gli ignoranti che non apprezzano il nostro sforzo e sotto sotto spingono per un mondo peggiore. A quelli che hanno comprato un libro e a quelli che non l’hanno fatto va il mio ringraziamento; ai sindaci sensibili e a quelli scettici, alle associazioni, agli editori, ai sostenitori e i detrattori, ai lettori e ai non lettori (che definizione infelice!) che diventeranno lettori e viceversa, grazie a tutti».