Pesce sofisticato, si attiva Nas dei carabinieri  Chiesti approfondimenti sui ricoveri al Vittorio

Dopo l’approfondimento pubblicato ieri mattina da MeridioNews sulle tecniche di sofisticazione del pesce fresco utilizzate a Catania, il Nas dei carabinieri ha voluto vederci chiaro. Questa mattina infatti il direttore sanitario del Vittorio Emanuele di Catania, Antonino Lazzara, è stato contattato dagli uomini del nucleo dell’Arma per avere delucidazioni sui due ricoveri dei pescatori di cui abbiamo dato notizia all’interno del nostro articolo. In particolare, le forze dell’ordine hanno chiesto a quando risalissero i fatti raccontati, per capire se fossero più o meno recenti e, eventualmente, agire di conseguenza. «Sono stato contattato telefonicamente – spiega Lazzara a MeridioNews – e dopo essermi consultato con i miei colleghi ho chiarito l’arco temporale in cui è possibile inserire gli accaduti». A confermarlo è anche Giuseppe Carpinteri, primario del reparto di Pronto soccorso dello stesso ospedale, che ha aggiunto: «Ho raccontato dell’ultimo episodio che, a mia memoria, era avvenuto circa due anni fa – racconta il dirigente – tra l’altro me ne sono occupato direttamente. Parlando con loro – conclude – mi dicevano che sono casi il cui nesso, purtroppo, è molto difficile da dimostrare da un punto di vista investigativo proprio per la reticenza delle persone coinvolte». 

I ricoveri al centro dell’interesse degli inquirenti, in particolar modo, sono quelli di due pescatori che in due occasioni separate, sono finiti nel reparto d’urgenza dell’ospedale di via Plebiscito spiegando ai medici di essere entrati in contatto con una sostanza che – sostengono – viene utilizzata per mascherare la freschezza del pesce. Il primo, arriva nei locali del reparto d’urgenza per una forte intossicazione, dichiarando di avere ingerito accidentalmente un liquido che, essendo incolore e contenuto dentro a una bottiglietta, l’uomo aveva scambiato per acqua. Per identificare l’agente tossico, vista la forte reticenza del paziente nell’ammetterne la natura, il personale di guardia ha chiesto l’intervento del Centro veleni. Il secondo, invece, presenta delle lacerazioni nella pianta dei piedi. Un prodotto che viene usato «’ppo coluri re pisci», raccontava ai sanitari, gli ha corroso gli stivali da lavoro, fino bruciargli lievemente gli arti inferiori.

Come spiegato dai veterinari dell’università di Messina e dell’Asp di Catania, le tecniche per alterare il pescato possono essere sostanzialmente suddivise in due macro-categorie. Da un lato l’utilizzo improprio di sostanze legali, dall’altro il trattamento con prodotti vietati dalle normative europee che possono provocare in entrambi i casi e in egual misura potenziali pericoli per la salute di chi lo mangia. E, in particolar modo, il Cafodos – un additivo che viene mescolato con il ghiaccio e consente di dare freschezza apparente al pescato – dall’altra i solfiti. Particolarmente dannosi per l’organismo umano, soprattutto per chi è allergico

«Il Cafodos – spiegava Alessandro Giuffrida, ordinario del dipartimento di Scienze veterinarie dell’università di Messina – è un prodotto utilizzato in Spagna, una sostanza al limite della legalità, che è fondamentalmente una miscela di acidi organici e acquaossigenata, perossido di idrogeno». Questi ultimi servirebbero, sostanzialmente, per far sembrare il prodotto ittico meno deperito. Ma, come spiega meglio il docente, mascherare lo stato di freschezza del pesce, soprattutto se quest’ultimo è quasi marcio, è chiaramente una frode. «Se io prendo del tonno – conclude – e lo tratto con un additivo che di per sé non fa male, non fermo la produzione di istamina, che è tossica per l’uomo. Proprio su questo pesce inoltre, si è rilevato l’utilizzo di monossido di carbonio che lo fa diventare rosso ciliegia». Per quanto riguarda invece i solfiti, come spiegato da Emanuele Farruggia, responsabile dei servizi veterinari per il controllo degli alimenti dell’Asp di Catania, vengono solitamente usati per la carne vaccina o suina, ma sono utilizzati impropriamente anche nei crostacei, o come sbiancanti del baccalà. Nel 2015, su un campione di 35 prodotti ittici controllati sette sono risultati positivi, mentre nel 2016 su 36 in quattro ne è stata riscontrata la presenza.  


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