È vero: prendersela con la festa degli innamorati è diventato uno sport nazionale. Perciò abbiamo deciso di dare la parola alla difesa: per ricordare che questa festa può essere non soltanto sopportabile ma, perfino, piacevole. A condizione di dimenticarsi di Moccia e degli orsacchiotti di peluche
«Però a Dante sarebbe piaciuta»
Bisogna rivalutare San Valentino. E’ necessario dire a tutto quel popolo che storce il naso al pensiero di palloncini rosa a forma di cuoricino che no, la festa degli innamorati non è così male. C’è chi afferma, senza paura di apparire esagerato, che quel giorno è quanto più si avvicina alla sua personale idea d’inferno. C’è perfino gente che, alla richiesta della dolce metà di passare una serata fuori, in mezzo a coppie che si regalano a vicenda i libri di Moccia, s’improvvisa malata di lebbra: «Tesoro, mi dispiace, ma temo sia una cosa contagiosa».
Per evitare cosa, poi?
Abbiamo giornate che ci ricordano di rispettare la donna, occorrenze che sottolineano l’importanza del papà e della mamma, settimane in cui travestirsi in maniera ridicola e lanciarsi uova addosso è la norma. Festività inutili che servono alle maestre di scuola elementare per stimolare la fantasia dei pargoli, per invogliarli a scrivere imbarazzanti poesie in rima baciata, cose che se le rileggi a qualche anno di distanza capisci che se Boccaccio e Petrarca sono nati ottocento anni fa (o giù di lì) e non l’altro ieri un motivo c’è stato.
E in questo vuoto cosmico di celebrazioni che, razionalmente, non avrebbero alcuna ragione d’esistere, la più bistrattata è quella che cade il 14 febbraio.
Eppure si parla d’amore, signori. Amore.
Che non è una parola buona solo a riempire le frasi dei Baci Perugina, o a vendere best seller di tizi a cui conferire la licenza media è stato un errore che certe commissioni d’esami ancora non si perdonano.
Togliendo il melenso, i peluche orsacchiottomorfi che causano istinti omicidi e dovrebbe esserci un apposito gruppo di studiosi che disponga che vengano ritirati dal commercio, i fiorai i cui prezzi aumentano del cinquecento per cento in ventiquattr’ore, e le serate organizzate nelle quali si può entrare solo a coppie, solo con una fede al dito, solo con un prete dietro che impartisce benedizioni, San Valentino ha i suoi lati positivi. Almeno due.
Il primo, senza ombra di dubbio, è ricordare ai single che la loro vita è migliore di quanto credano.
Il secondo è ben più sentimentale. Ha a che fare con una delle esternazioni-da-muro più belle sulla faccia del pianeta. Al porto di Acitrezza (chi vi scrive sa che i porti sono dei buchi neri di romanticismo), un tale ha scritto a caratteri cubitali: “Dopo quarantatré giorni posso continuare a dirti che ti amo“. Il punto è tutto qui: San Valentino è una scusa per dirsi, un giorno in più, che ci si ama, che i problemi si superano, che la felicità condivisa è un po’ più felice (che l’infelicità in due vale doppio è il punto forte di San Faustino, e non ne discuteremo in questa sede), e che perfino finire di pagare il mutuo, dividendo le spese, sembra un sogno non troppo irraggiungibile.
Sono le esagerazioni che rovinano l’atmosfera, come in tutte le cose.
Senza bouquet di rose rosse, senza messaggi da carie ai denti, senza ostentazione di tinte pastello e senza effusioni al limite con la denuncia per atti osceni in luogo pubblico, San Valentino sarebbe non soltanto sopportabile ma, perfino, piacevole.
Sarebbe dimostrare che esistono sentimenti per i quali vale la pena fermarsi un momento, soltanto a contemplarli.
In fondo, se Dante con “l’Amor che move il sole e l’altre stelle” c’ha concluso il Paradiso non l’ha fatto a caso. Lo sapeva, lui, che c’era qualcosa di divino.
Riesco perfino ad immaginarlo, con Beatrice, mentre le dà un bacio e le augura: «Amore, buon San Valentino».