Inquinamento, freddo, mobilità, densità e anzianità della popolazione. Un'equipe di docenti ha studiato, sulla base di dati Iss e Istat, i fattori preesistenti di rischio che rendono il Nord più esposto a tutte le epidemie. Con spunti interessanti per l'inizio della fase due
Perché il virus si è diffuso più a Nord che nel resto d’Italia Lo studio di Unict. «È ragionevole riaprire prima al Sud»
Non serve solo ricostruire la filiera del contagio per capire come il Covid-19 sia arrivato in Italia e poi si sia diffuso in tutto il Paese. Ok provare a individuare il paziente zero, ma c’è un altro aspetto su cui indagare: quanto i fattori di rischio preesistenti – inquinamento, temperatura invernale, mobilità, densità e anzianità della popolazione, densità di strutture ospedaliere e densità abitativa – abbiano inciso sulla maggiore diffusione del virus al Nord, piuttosto che al Centro-Sud. A chiederselo e a dare una parziale risposta è stata un’equipe di docenti dell’Università di Catania che, basandosi sui dati dell’Istituto superiore della Sanità, dell’Istat e di altre agenzie europee, ha pubblicato uno studio che potrebbe fornire anche spunti interessanti nei giorni in cui si decide cosa, quando e dove riaprire.
«Perché regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto soffrono molto di più rispetto al resto del Paese in termini di casi di infezione, unità di terapia intensiva e pazienti deceduti? – si sono chiesti i ricercatori – Sebbene l’epidemia sia iniziata quasi nello stesso periodo, all’inizio del 2020, sia nel nord (Lombardia e Veneto) che nella parte centrale dell’Italia (Lazio), l’epidemia è stata più diffusa e letale solo in quelle regioni con più alto rischio epidemico».
«Qualcuno sostiene che l’epidemia sia partita prima al Nord – spiega a MeridioNews Andrea Rapisarda, associato di Fisica teorica dell’Università di Catania – ma in realtà il primo caso di contagio scoperto in Italia è stato quello della coppia cinese a Roma ricoverata allo Spallanzani a inizio febbraio. Qualche settimana dopo sono esplosi i casi Codogno e Vo’ Euganeo. Il virus in sostanza circolava da mesi non solo al Nord, ma quantomeno anche in Centro Italia. Poi, poco prima del lockdown del Paese, il 9 marzo e subito dopo, diverse ondate di centinaia di migliaia di persone sono rientrate nelle loro regioni di origine al Centro Sud diffondendo molto probabilmente il virus in tutta Italia. Solo che nelle Regioni settentrionali ha trovato più terreno fertile».
La ricerca dal titolo Strategies to mitigate the COVID-19 pandemic risk confronta i dati della diffusione del Covid-19 con quelli dell’influenza stagionale. «Quello che emerge è che anche l’influenza colpisce in misura più grave Lombardia, Piemonte, Emilia e Veneto, le stesse Regioni falcidiate dal coronavirus – spiega Rapisarda – Il problema è strutturale: queste aree del Paese sono le più inquinate da Pm10, le più densamente popolate, quelle con più densità di ospedali, con più gente anziana, e dove la temperatura è più bassa. Un insieme di fattori che hanno costituito e costituiranno in futuro per ogni epidemia un terreno ideale». Anche l’inquinamento? «Certamente – risponde il docente – la pianura Padana è l’area più inquinata non solo d’Italia ma dell’intera Europa e questo contribuisce sicuramente a danneggiare le vie polmonari oltre che a diffondere più rapidamente il virus».
Lo studio (qui la versione integrale), pubblicato in inglese e a breve anche in italiano, è stato realizzato da un team composto dai docenti dell’ateneo catanese: oltre al professore Rapisarda ci sono Alessio Biondo del dipartimento di Economia e Impresa, Giuseppe Inturri del dipartimento di Ingegneria elettrica elettronica e informatica, Vito Latora e Alessandro Pluchino del dipartimento di Fisica e Astronomia, Rosario Le Moli del dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale e Giovanni Russo del dipartimento di Matematica e Informatica, dalla ricercatrice Nadia Giuffrida del dipartimento di Ingegneria civile e architettura e dalla dottoranda Chiara Zappalà del dipartimento di Fisica e Astronomia.
I ricercatori, sulla base dei dati analizzati, sono convinti che le misure di contenimento siano state indispensabili per ridurre il contagio, «ma anche senza i divieti, l’impatto al Centro-Sud sarebbe stato minore rispetto alla Lombardia». Sulla base di queste premesse, si dicono «speranzosi» per le Regioni centrali e meridionali del Paese, «dove molto probabilmente – sottolineano – l’impatto di questa pandemia e di possibili altre ondate future sarà sempre più lieve in termini di casi gravi e decessi a causa del minor rischio epidemico legato ai fattori strutturali trovati».
Ecco perché adesso che si parla della graduale ripartenza, sottolinea il professore Rapisarda, «con le dovute precauzioni, è molto più ragionevole aprire al Centro-Sud prima che al Nord. Non lo diciamo solo noi. Certo, questo approccio dovrebbe essere supportato da un’analisi sierologica (i test sul sangue per cercare gli anticorpi che sviluppa l’eventuale presenza del virus, ndr) che si sta iniziando a fare per capire veramente quanto è diffuso nel Paese il virus. Anche con tutti i margini di errori che questo test ha, avremo una stima più veritiera e riusciremo a fare conteggi più realistici, utili a prendere decisioni anche per la ripartenza».