Quattro dirigenti hanno rimesso il loro mandato nelle mani del segretario Raciti, contestando i criteri adottati per la selezione dei candidati alle Politiche. «Renzi e Faraone in alcuni territori hanno scelto personalità che nelle ultime elezioni amministrative correvano contro il Pd», dicono rubino, Ferrante, Greco e Graziano
Pd, dirigenti si dimettono e lanciano I partigiani del partito «Nuove basi, contro modello padronale e di trasformismo»
Dopo il caos liste nel centrosinistra siciliano, nascono I partigiani del Pd, un movimento trasversale non contro il partito, ma contro un modello padronale nel quale la base non si riconosce più. L’annuncio arriva oggi, a pochi giorni di distanza dalla presentazione delle liste del Pd per le prossime elezioni politiche, che fin da subito hanno suscitato malumori e mal di pancia a seguito di esclusioni eccellenti. E oggi ecco i primi segnali tangibili: quattro dirigenti regionali del partito – Antonio Ferrante, Antonio Rubino, Carmelo Greco e Salvatore Graziano – hanno annunciato di aver rimesso il proprio mandato nelle mani del segretario regionale Fausto Raciti e aver dato vita a un movimento. Ad accendere la miccia, la presa d’atto sulle modalità con cui sono state costruite e predisposte le liste, «che hanno visto totalmente estraneo il gruppo dirigente siciliano, creando sconcerto nei territori e negli elettori. Abbiamo deciso così di combattere un modello politico padronale che non ci appartiene».
«Da questo momento, noi quattro componenti della segretaria regionale rimettiamo il mandato nelle mani del segretario regionale – ha spiegato il responsabile regionale dell’organizzazione del Pd Rubino -. Sentiamo di dover costruire le basi per un nuovo Partito Democratico». I componenti della segreteria regionale hanno annunciato comunque la loro intenzione di votare per il Pd ma di non sostenere la campagna elettorale. «Da oggi nascono i partigiani del Pd per una battaglia politica che si svilupperà dal 5 marzo, all’indomani delle elezioni. Daremo voce a un’onda democratica che aiuti a rafforzare un modello politico che si rifà al vecchio Pd». Una spaccatura frutto della modalità di composizione delle liste, come ribadisce Rubino: «Non c’è stata una rappresentanza omogenea del Pd in Sicilia e queste liste non rappresentano pezzi di società che potevano riconoscersi nel partito. Un cortocircuito rispetto a un racconto che Renzi ha costruito per primo in questi anni».
E agli appelli alla responsabilità che fioccano in queste ore, come quello di ieri da parte di Davide Faraone, Rubino replica così: «La responsabilità si costruisce e non si impone. Rispetto a chi in questi anni ha costruito un partito sul modello trasformismo, autobus o ascensore, noi oggi prendiamo le distanze». Scelte sbagliate anche nell’individuazione dei candidati uninominali che «non rispondono a nessuna esigenza territoriale», e hanno determinato il secondo cortocircuito: in alcuni territori sono state candidate personalità che «nelle ultime elezioni amministrative correvano contro il partito». E poi c’è un problema di ordine etico: «Non si possono togliere persone che hanno contribuito alla costruzione del partito come Magda Culotta – presente alla conferenza stampa e che ha annunciato la sua adesione al movimento – senza avvertirla nemmeno con un sms e scoprendo dai giornali di essere stata tagliata fuori di ogni competizione elettorale».
Un fermento di proteste testimoniato dal flusso di mail indirizzate alla segreteria regionale del partito in queste ore che «sarà complicato da fermare», ha ribadito più volte Rubino. La sensazione è che il vero destinatario di queste protesta sia proprio Faraone, reo di aver gestito autonomamente la formazione delle liste. «Perché Faraone ha rifiutato ogni momento di confronto con i dirigenti fino al giorno della presentazione delle liste, interrompendo quel rapporto di fiducia tra il partito nazionale e quello regionale? I candidati sono stati scelti da Renzi su proposta di Faraone, secondo un modello politico di logiche di appartenenza e fidelizzazione. A questo noi opporremo un modello di partito davvero democratico». E, per fugare ogni dubbio, ha aggiunto: «Il nostro interlocutore è il segretario nazionale – ha concluso – non ne riconosciamo altri».