Quando la follia è la cura più sana: Paulo Coelho ci insegna quanto c'è di prezioso nella pazzia di un uomo
Paulo Coelho Veronika decide di morire
Oltre 56 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Il suo capolavoro, L’Alchimista, ha venduto, solo in Italia, più di un milione di copie.
Considerato uno degli scrittori più importanti della letteratura mondiale, Paulo Coelho continua ad ammaliarci con le sue opere: scritti che conducono alla scoperta di segreti e di misteri, attraverso l’ introspezione di ciò che è più ignoto: noi stessi.
Meno conosciuto de L’ Alchimista e di Undici Minuti, (ma non per questo non apprezzato dai lettori), il romanzo Veronika decide di morire, scritto nel 1998, figura come uno tra i migliori frutti della Maieutica Coelhiana, probabilmente perché in esso è riversata l’esperienza personale di “paziente psichiatrico” dell’autore.
In un freddo pomeriggio di novembre, Veronika, ventiquattrenne slovena, decide di togliersi la vita. Elabora con cura meticolosa il modo migliore per suicidarsi scegliendo alla fine di inghiottire una forte dose di sonniferi. Nessuna causa apparente: agli occhi degli altri sembrava una semplice ragazza, sana di corpo quanto di mente. Nessuno era a conoscenza del fatto che ella nutriva dentro di sé un forte senso di inutilità: la sua vita, dove tutto era così maledettamente identico, le era scivolata dalle mani, lasciando il posto ad un’esistenza grigia e priva di stimoli. Tutto era stato programmato, dalle esperienze di bambina alla laurea. Forse era questo ciò che le mancava: l’improvviso, i disguidi che rendono diverso un qualcosa, il brivido di un Carpe Diem ancora non vissuto. Ed era inevitabile pianificare l’arrivo. La morte era l’unica via d’uscita, una boccata d’aria dopo tanti anni senza respiro, una salvezza paradossale.
Ma qualcosa non va per il verso giusto: Veronika si risveglia dal sonno e si ritrova a Villete, un ospedale psichiatrico, con un cuore malato a causa del veleno somministratogli. Inizia ad avere paura, costretta ad aspettare la morte ancora qualche giorno, soggetta a malori fisici ed esistenziali. Il suo corpo l’aveva ingannata, non si era piegato all’ostinazione, al desiderio di libertà assoluta. Doveva attendere la sua fine, succube di un destino sadico e crudele.
L’unico modo per non avere rimorsi era guardarsi intorno, conoscere la realtà racchiusa dentro quelle mura asettiche e abbandonarsi alla consapevolezza di essere una matta tra i matti. Tutto diventa rivelazione: a Villete scopre un mondo nuovo, sconosciuto, affascinante. Scopre i suoi limiti, le sue emozioni, i suoi sentimenti, le sue paure, i suoi desideri, la catarsi dell’anima. Veronika conosce Veronika…
Stringe rapporti con gente che è considerata pazza: diventa amica di due donne “follemente normali”, si innamora goffamente e spudoratamente di un presunto schizofrenico. Suona per lui il pianoforte, la sua più grande passione, di notte, scortata da una luna lontana e vicina al tempo stesso… Il cielo non sembra poi così alto, la mente non così labile… Diventa donatrice per gli altri e per se stessa. Apre gli occhi, vive i respiri. Lei, che aveva sempre ricevuto, comincia a regalare brividi e poesia.
La vita prende forma di desiderio e di successo, oltre che di conquista: quella di saper vivere giorno per giorno, considerando ogni ora come un miracolo, un tesoro talmente prezioso, intoccabile, personale e difficile da raggiungere che solo in pochi riescono a comprenderlo veramente. Veronika giunge a scoprire se stessa, psicologicamente e fisicamente. Distrugge i muri che impedivano al suo vero Io di respirare e, finalmente, tra sudore, lacrime ed eccitazione, impara ad amarsi, ad abbandonarsi felicemente alla vita; la morte, a questo punto, assume un odore diverso…
Con questo libro Paulo Coelho ci insegna quanto ignorata può essere la vita umana e quanto profonda può essere la follia. Bibliograficamente parlando, trascendendo il suo immancabile spiritualismo (a mio avviso eccessivo ne “Il Cammino di Santiago” e “Il guerriero della luce”), lo scrittore sa amalgamare tra le righe il dubbio su una probabile esistenza divina con temi ed esperienze che fanno inorridire “perbenisti” superficiali. Per apprezzare al meglio i suoi scritti, infatti, sono indispensabili solo poche ore (finora i suoi romanzi non sono mai stati dei mattoni) ma anche un’adeguata apertura mentale. I tabù vengono infranti, i desideri repressi dei protagonisti (e a volte del lettore stesso) sgorgano fuori, l’Io manifesto cede il posto a brividi che investono pudore e coscienza.
La consapevolezza e la voglia di scoprire vari universi, dalla vita alla morte, dalla preghiera alla scoperta fisica personale e dell’altro sesso… Credo sia questo il potere di questa celebre penna: la capacità di saper coniugare quasi perfettamente mondi apparentemente inconciliabili ma realisticamente dipendenti a vicenda, coinvolgendo totalmente chi legge in una continua ricerca del suo vero sé nascosto.