Una pecora era stata sgozzata, altre tre erano state ammazzate con un fucile da caccia. L'ultima è stata sventrata ieri notte. Continuano le minacce ai danni di Emanuele Feltri, l'agricoltore di Catania che ha aperto un'azienda agricola in contrada Sciddicuni e che, da due anni, denuncia le discariche abusive e il caporalato nel paternese. Dopo due interrogazioni parlamentari e un'assemblea pubblica con centinaia di persone, qualcuno si è introdotto ancora in casa sua. «La Sicilia è stata di nuovo violentata», dice il giovane
Paternò, una nuova intimidazione a Feltri «Nel silenzio assordante delle istituzioni»
«Un ultimo chiarissimo messaggio è stato lasciato proprio accanto la mia abitazione: una pecora morta con il ventre squarciato e una sbarra di ferro insanguinata abbandonata al suo fianco». Si affida di nuovo a Facebook Emanuele Feltri per raccontare l’ennesima intimidazione subita nella sua fattoria, in contrada Sciddicuni a Paternò. Ieri sera, mentre c’erano «più persone a farmi compagnia dentro casa», qualcuno è entrato di nuovo nella sua proprietà, qualcuno ha rimesso piede in quel terreno di cinque ettari nella valle del Simeto che l’agricoltore etneo, 33 anni, ha acquistato due anni fa, coi soldi della vendita del suo appartamento di Catania. «Foto, testimoni più che attendibili, denuncia immediata ai carabinieri e il gelo che riscende lungo la mia schiena», descrive Feltri gli attimi seguenti alla nuova intimidazione.
La sua storia è stata raccontata la scorsa settimana da tutti i giornali, dopo una minaccia più difficile da digerire delle precedenti. Il 30 giugno, quattro delle cinque pecore che componevano il suo piccolo gregge amatoriale erano state ammazzate con un fucile da caccia. La testa di una di queste era stata fatta trovare davanti la porta della cascina in cui Emanuele vive da un paio d’anni. «Una sola pecora si è salvata, probabilmente perché è riuscita a nascondersi in tempo», aveva raccontato il ragazzo il giorno dopo, poco prima di andare dai carabinieri di Paternò a denunciare il fatto.
Lì, nell’area protetta di Ponte Barca, Feltri ha messo in piedi una piccola azienda agricola biologica, «con l’idea di creare una rete di piccoli imprenditori in grado di produrre e vendere direttamente i propri prodotti». Ma aveva fatto anche altro: «Avevo denunciato lo stato dell’oasi, le discariche a cielo aperto di amianto e copertoni, avevo tentato di riportare attenzione su una zona lasciata a se stessa». E qualcuno non l’ha gradito: «Evidentemente per certa gente sarebbe meglio che qui fosse poco frequentato», aveva detto. E aveva raccontato tutto quello che ha sopportato da quando si è trasferito nel paternese: i furti in casa, il carrello della jeep sparito, un intero raccolto di arance rubato e l’impianto d’irrigazione distrutto, con danni per oltre ottomila euro.
Invece i suoi racconti hanno acceso i riflettori della stampa e del governo nazionale. Due interrogazioni parlamentari nel giro di pochi giorni (una del Partito democratico, l’altra di Sinistra Ecologia Libertà), una visita del sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta, l’interessamento del sindaco di Paternò e un’assemblea pubblica, proprio a casa di Emanuele Feltri, con centinaia di cittadini partecipanti e diverse associazioni ambientaliste presenti. «Voglio spostare l’attenzione dalla mia situazione personale al caso della Valle in generale», precisava l’agricoltore. Che adesso, però, lamenta «un silenzio assordante da parte delle istituzioni e delle forze dell’ordine». E ai suoi amici scrive: «Mi ha colpito un senso di sopraffazione e un terribile sconforto per una Sicilia ancora una volta offesa e violentata».
Intanto, le indagini sul suo caso sono partite e spetterà alla procura di Catania decidere se aprire oppure no un fascicolo. «Dire che si tratti di azioni di matrice mafiosa è prematuro precisano fonti investigative Fatti come questi sono all’ordine del giorno, nel paternese. Ci sono persone che non si fanno scrupoli di nessun tipo, neanche per banali questioni agricole». Questo, puntualizzano gli inquirenti, non significa che «dietro al caso Feltri non ci siano ragioni ben più profonde». Legate alla malavita organizzata. «Il territorio è molto ampio, le campagne sono dispersive e poco collegate con le strade, ci sono posti in cui le macchine non arrivano e tenere il conto di tutto quello che succede è complicato», proseguono gli investigatori. Certo è che «i presidi dei carabinieri a casa di Feltri saranno intensificati e resi più visibili: nei giorni scorsi erano stati discreti ma, com’è evidente, c’è bisogno di segnali di protezione più netti».
[Foto di Adriana Coco su Facebook]