L'operazione dei carabinieri è scattata dalle denunce di alcune vittime, tra cui donne e bambini. Sono nove le persone a cui stanno arrivando provvedimenti restrittivi. Nelle settimane scorse un gruppo di braccianti marocchini è stato al centro di una vicenda simile. Guarda le foto
Paternò, blitz contro lavoro nero nelle campagne Caporali rumeni sfruttavano i connazionali
Un blitz contro lo sfruttamento dei braccianti stranieri – comprese donne e minori – nelle campagne di Paternò è stato condotto dalle prime ore del mattino. I carabinieri di Catania hanno eseguito tre arresti e quattro provvedimenti restrittivi nei confronti di nove persone. Si tratterebbe di un’associazione a delinquere formata da cittadini rumeni che sfruttavano connazionali con le classiche forme del caporalato. Due gli italiani coinvolti nell’organizzazione, padre e figlio originari di Paternò:
Rosario Di Perna, 59 anni, già conosciuto dalle forze dell’ordine. E Calogero Di Perna, incensurato di 29 anni.
A far scattare l’operazione sono state le denunce di alcune vittime, il filone d’indagine parte però da una rapina avvenuta a settembre 2009. Classico il metodo di reclutamento dei lavoratori rumeni. Questi venivano ingaggiate nel Paese di origine e fatti arrivare in Italia attraverso comuni autobus di linea; una volta giunti in Sicilia erano alloggiati all’interno di cassoni in pessime condizioni igienico-sanitarie. Il lavoro era sottopagato e in assenza delle garanzie minime di tutela. I braccianti erano costretti a subire uno stato di sudditanza psicologica e ad accettare le pessime condizioni per paura di perdere anche quel minimo introito economico. Con la minaccia di facili allontanamenti, infatti, le vittime subivano ritmi massacranti per accrescere i profitti dell’organizzazione.
Seppur chiaramente riconducibile al fenomeno del caporalato, l’operazione condotta dai carabinieri si è indirizzata allo smantellamento di un sistema estorsivo che riduceva i migranti ad una condizione di soggezione nei confronti dei propri aguzzini. Il tutto avveniva nelle campagne di Paternò. Secondo quanto riferito in conferenza stampa, i lavoratori rumeni vivevano in «abitazioni fatiscenti, molto spesso senza acqua e senza energia elettrica».
In merito all’organizzazione che reggeva il sistema, i due italiani coinvolti si occupavano del «reclutamento in Romania fino al trasporto attraverso dei pullman in Sicilia» e infine del collocamento sui campi. II ruolo dei due paternesi era quello di «provvedere alla spesa», al «trasporto dalle abitazioni di fortuna ai terreni di lavoro, oltre che ai pagamenti». Secondo le testimonianze rese dalle vittime ai carabinieri, la paga corrisposta per circa 12 ore di lavoro era pari a 50 euro, soggetta però a delle «trattenute forzate» per pasti trasporto e altre esigenze che la riducevano a circa 25 euro.
L’indagine che ha portato all’arresto di tre persone e ai domiciliari per quattro, al momento è circoscritta ad un’azienda del paternese che impiegava i lavoratori in attività stagionali, dalla vendemmia alla raccolta di olive. Sono 41 le vittime identificate, alcune particolarmente collaborative e riconducibili alle stesse persone che nel 2009 denunciarono la rapina che diede il primo input all’attività investigativa.
Gli altri coinvolti nell’operazione sono: Nicu Rata, 32 anni, arrestato; Nelu Radu, 41 anni; Loredana Radu, 36 anni; Tetyana Mrozek, 56 anni e Ilie Dima, 45 anni.
«La tutela del lavoro legale è un aspetto importante e che in futuro sarà sempre più centrale nella nostra attività», ha dichiarato il Procuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi. Riferendosi poi ai fatti strettamente relativi all’indagine il procuratore ha detto: «Si tratta di una vicenda un po’ diversa dal normale caporalato, ci sono persone che erano tenute in condizioni non adeguate ad un contesto civile e per questo si è intervenuti con molta determinazione».
Di situazione vicina alla schiavitù ha parlato chiaramente il colonnello dei Carabinieri Alessandro Casarsa. «Qui si parla di persone che vivevano in assoluto degrado e non parliamo di schiavitù solo perché il reato contestato non è stato questo e non c’erano delle forme di coattazione fisica, ma cos’è la schiavitù se non lavorare tutta la giornata per 3 euro, per una cassetta oggi di pistacchi, domani di uva? La schiavitù è una condizione mentale che in questo caso ha trovato una tutela». «La cosa importante di questa operazione – ha evidenziato Casarsa – è che è stata fornita una lettura della norma, che riguarda appunto l’associazione finalizzata all’estorsione, che consente da una parte di tutelare il lavoratore sfruttato e dall’altra di tutelare i lavoratori normali che si vedono tolto il posto di lavoro dato alla persona che si fa sfruttare. Si è sentito parlare spesso d’integrazione dello straniero, ma spesso lo straniero ci fa comodo per le attività illegali, qui ci sono persone che sono sempre pronte ad offrire una possibilità per qualcosa di illecito».
Nelle settimane scorse MeridioNews ha raccontato la storia di un gruppo di braccianti marocchini, anche loro gestiti da caporali rumeni nelle campagne di Paternò per la raccolta delle arance. Recentemente la Cgil ha realizzato un documentario sullo sfruttamento del lavoro nei campi dove è sempre più facile trovare anche minori. Susanna Camusso – segretaria del sindacato, a Catania per presiedere l’assemblea – ha commentato: «Dall’evasione contributiva alle forme di caporalato, alle retribuzioni in nero e a quelle che vengono teoricamente date e poi richieste indietro: bisogna che su questo ci sia una legislazione vera che consideri il fatto che siamo di fronte non a delle cose marginali, ma a delle vere e proprie forme di estorsione nei confronti dei lavoratori». Netto il messaggio di Camusso: «Questi lavoratori bisogna difenderli innanzitutto smettendola di dire “il lavoro pur che sia”, che non si devono avere dei diritti e che “così almeno c’è un lavoro”: il tema della legalità è prioritario».