Nei giorni scorsi, la commissione regionale presieduta da Nello Musumeci ha esaminato il caso del Comune etneo. Stimolato dall'esposto-denuncia presentato da cinque associazioni attive sul territorio. «A breve potrebbero essere convocate le istituzioni paternesi», annuncia Musumeci
Paternò, annacata ad Assinnata all’Antimafia Ars «Capire se gli amministratori subirono pressioni»
Il caso del doppio inchino dei portatori di cerei davanti alla casa del presunto boss Turi Assinnata arriva in commissione regionale antimafia. Era lo scorso 2 dicembre quando, con tanto di colonna sonora de Il Padrino, in occasione delle festività di Santa Barbara, due varette si sono fermate di fronte all’abitazione del leader, attualmente detenuto nel carcere di Asti, del clan che porta il suo nome. Nei giorni scorsi, i parlamentari dell’Ars hanno esaminato il caso Paternò, anche grazie a un esposto-denuncia inviato all’organismo regionale da cinque associazioni attive sul territorio paternese. «Non posso dire molto – precisa Nello Musumeci – Abbiamo raccolto ed esaminato una dettagliata documentazione su cosa avvenne quel giorno. Vogliamo capire se, in tutta questa vicenda, i soggetti coinvolti, siano essi amministratori od organizzatori, abbiano subito pressioni particolari».
Per questo motivo non è escluso che «a breve, possano essere convocati in commissione antimafia gli amministratori locali, per avere chiarimenti sull’accaduto». Il caso del doppio inchino fu preceduto, 48 ore prima, da una seduta di consiglio comunale alquanto movimentata. Soprattutto nel momento in cui l’assise civica doveva votare l’immediata esecutività del bilancio 2015: la sua mancata approvazione avrebbe comportato l’impossibilità di effettuare i festeggiamenti della Santa patrona, in quanto la non disponibilità delle risorse economiche avrebbe impedito di pagare i portatori di cerei. Forti momenti di tensione quando componenti del comitato dei festeggiamenti di Santa Barbara hanno «incontrato» alcuni consiglieri di minoranza (Vito Rau, Ezio Mannino e Nino Valore) apparsi restii ad approvare la manovra finanziaria.
Alla fine fu necessario l’intervento dei carabinieri della compagnia di Paternò, che all’epoca identificarono i consiglieri comunali e i componenti del comitato che stavano dialogando in modo piuttosto acceso. Sul fatto le forze dell’ordine verificarono presunte pressioni ricevute dai consiglieri comunali affinché votassero immediatamente il bilancio. Il caso scoppiato con l’annacata spinse l’assessora alla Cultura Valentina Campisano a organizzare una manifestazione antimafia con il coinvolgimento delle associazioni no profit della città. Fu preparato un manifesto che recitava «Paternò non si inchina, Paternò è un’altra cosa», che fu esposto dapprima nella chiesa di Santa Barbara, durante la messa celebrata dal vescovo Salvatore Gristina. Successivamente il manifesto fu attaccato nel balcone del primo piano di Palazzo Alessi, sede del consiglio comunale.
Dopo qualche giorno, in piena notte, il manifesto fu strappato dall’esterno e sparì. Dopo l’indignazione, le istituzioni locali annunciarono inchieste per fare chiarezza e accertare le responsabilità, denunciando il tutto alle forze dell’ordine. Da quel momento nulla è stato fatto: «Non c’erano le condizioni per denunciare. E poi contro chi? Contro ignoti – specifica Campisano – Non avrebbe avuto senso soltanto per dire che ci siamo interessati». Da allora nessun manifesto, come annunciato subito dopo la scoperta, è stato preparato per sostituire quella strappato. Cosi come non è stato riposizionato un altro striscione, quello coi volti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, attaccato al quinto piano del palazzo comunale di zona Ardizzone. Proprio di fronte al luogo dell’inchino. Era stato tolto per il troppo vento, si disse. Ma da allora sono passati quasi tre mesi.