Il medico, attivista politico e scrittore statunitense Hunter Doherty Adams è stato presente al Teatro Massimo Bellini di Catania all'interno del tour italiano organizzato da Mediolanum corporate university. Di fronte a un folto pubblico, ha raccontato la sua storia personale e parlato della sua filosofia di vita affrontando i temi del pensiero positivo, dell'utilità della risata e della ricerca dell'autostima. Gli ospedali tradizionali? «Costosi, pieni di arroganza e di personale sempre sull'orlo di una crisi di nervi»
Patch Adams incanta i catanesi al Bellini «È sempre tempo di contagiare un sorriso»
Per il ciclo di eventi del mese di giugno, organizzati da Mediolanum corporate university, arriva anche nel capoluogo etneo – dopo il passaggio di successo a Trapani e Palermo – l’appuntamento con il dottor Hunter Doherty Adams, meglio noto come Patch Adams. In un Teatro Massimo Bellini sold out e in un palco dagli inconsueti addobbi – palloncini colorati, camici medici variopinti e tanti fiori – il pubblico ha accolto alla pari di una rock star il medico statunitense che ha fatto del sorriso, della dedizione e della positività uno stile di vita. La sua storia è stata resa celebre dall’omonimo film in cui a interpretare il medico – anche attivista politico e scrittore – è l’attore Robin Williams. Lui però ha preferito presentarsi ai catanesi come se non fosse per niente un personaggio noto in tutto il mondo, quindi ha fatto un inchino e ha esordito tra gli applausi: «Buonasera Catania, sono un clown che è anche un medico, non il contrario. Scusate il mio abbigliamento, ma sono trent’anni che indosso solo abiti da pagliaccio».
Patch Adams – così preferisce essere chiamato – è il pioniere della clownterapia. Ha sessantanove anni e ha dedicato la sua vita allo studio dell’essere umano sotto ogni aspetto, cercando di creare un sistema sanitario accessibile anche alle fasce più economicamente deboli della società americana. Il suo compito – nell’evento tour che fa tappa in diverse città d’Italia – è quello di approfondire i temi del pensiero positivo, dell’utilità della risata, della ricerca dell’autostima e di trasmetterli al pubblico. Per raggiungere il suo obiettivo al Bellini ha proiettato video, organizzato divertenti sipari con i numerosi bambini presenti e coinvolto tutti in veri e propri traininig incentrati sull’amor proprio. Ha infine raccontato la sua storia scherzando sulla pellicola statunitense del 1998: «Semplicistica e con un attore troppo basso per interpretare un uomo di due metri d’altezza».
«Quando mio padre è morto in guerra nel 1961, con quello che era rimasto della mia famiglia ci siamo trasferiti negli stati meridionali degli Stati Uniti in un periodo storico in cui le ingiustizie sociali erano troppe», ha raccontato. Non riuscendo ad accettare di vivere in un mondo pieno di infamia «ho tentato di togliermi la vita – ha spiegato – e per questo motivo sono stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico per tre volte consecutive». Durante l’ultimo ricovero – avvenuto all’età di 17 anni – Patch Adams ha deciso di reagire, di intraprendere una professione socialmente utile e di dare inizio a quella che ha definito «la rivoluzione dell’amore». Una volta divenuto medico, il dottor Hunter Doherty Adams ha deciso di prestare servizio gratuitamente e liberamente. Ha quindi fondato, con altri sei colleghi e attraverso un processo di autofinanziamento, un ospedale in una casa, ospitando e curando dai cinque ai 50 pazienti, ogni giorno. Degli ospedali tradizionali, nei quali fa visita con la missione di strappare un sorriso a malati di ogni tipo, ha parlato come di contesti «eccessivamente costosi, pieni di arroganza e ricchi di personale sempre sull’orlo di una crisi di nervi».
Il suo scopo ultimo «è quello di accumulare denaro per costruire un ospedale moderno, attrezzato e fruibile per tutto, dopo il naufragio del primo ospedale casalingo», ha detto. Per questa ragione ai tour in cui porta in giro la sua filosofia di clownterapia – recandosi in ospedali, carceri, case di riposo, orfanotrofi e luoghi di guerra – affianca la professione di conferenziere perché «è sempre il momento – conclude – di contagiare un sorriso alla gente».