Partecipate, la Regione vende a sé stessa le azioni Unicredit e Italkali?

In attesa del verdetto del Commissario dello Stato sulla manovra finanziaria approvata dall’Ars, e mentre si moltiplicano le voci di una probabile impugnativa di norme prive di copertura finanziaria (in dubbio pure la proroga ai precari) continua il nostro viaggio nel mondo delle società partecipate dalla Regione siciliana.  Sappiamo che il Governo, con l’articolo 23 della Legge di stabilità,  ha deciso, dando attuazione ad una legge del 2011,  di ridurle da 34 ad 11. Ne  abbiamo parlato ieri in questo articolo in cui poniamo un interrogativo su Siciliacque, la società che gestisce le infrastrutture idriche. La domanda che abbiamo posto è la seguente: se la gestione dell’acqua, in Sicilia, deve tornare pubblica – lo  hanno affermato sia esponenti del Governo che della maggioranza, come  il PD -come mai nella  legge Finanziaria approvata, Siciliacque rimane “strategica”? Misteri siculi.

Oggi ci occupiamo di altri affari, altrettanto grossi che, come al solito, rischiano di trasformarsi in vere e proprie fregature per i siciliani. Il tema è quello della dismissione delle quote azionarie detenute dalla Regione in società di un certo rilievo, come Unicredit (circa 1%) e Italkali (51%). La norma in questione è contenuta nell’articolo 22 della suddetta Legge di stabilità.  Che così recita: ” Ai fini del perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica previsti per l’anno 2014, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge sono predisposte dal Dipartimento regionale del bilancio e del tesoro le procedure di evidenza pubblica per la cessione delle partecipazioni azionarie della Regione non ritenute strategiche”. L’elenco delle partecipazioni non ‘strategiche’ non è ancora disponibile, ma in Aula il riferimento ad Unicredit e Italkali è stato ampiamente palesato.

La questione s è subito complicata non tanto per la norma in sé, quanto per il secondo comma: “Al fine di garantire un congruo prezzo di vendita delle azioni di cui al comma 1, con decreto dell’Assessore regionale per l’economia sono fissati i prezzi di riserva al di sotto dei quali non si pro-cede alla vendita. In tal caso IRFIS-FinSicilia S.p.A. può, a valere sulle risorse libere dei fondi a sua disposizione, acquistare le suddette azioni al valore dei predetti prezzi di riserva. 3. Dall’attuazione del presente articolo devono derivare entrate non inferiori a 60 milioni di euro”.

A Sala d’Ercole la discussione sul coinvolgimento dell’Irfis  (partecipata al 100% dalla Regione)si è subito infiammata: che razza di privatizzazione è se a comprare, alla fine,  potrebbe essere la stessa Regione? Chi ha stabilito che le partecipazioni valgono 60 milioni?  Che senso ha svuotare le casse della società finanziaria regionale, che dovrebbe sostenere le imprese, per acquistare azioni di società non ritenute strategiche? E ancora: come mai Confindustria Sicilia non alza gli scudi per difendere dei fondi, quelli dell’Irfis, che dovrebbero andare alle migliaia di imprese che hanno difficoltà di accesso al credito? C’entra qualcosa il fatto che l’Istituto sia attualmente gestito dagli industriali stessi?

Tutti interrogativi, che come vedremo, in maniera più o meno velata sono stati posti in Aula e che avevano determinato la presentazione di un emendamento soppressivo(proposto dal Mpa, dalla Lista Musumeci e dal M5s) del comma 2.  Niente da fare però. Raccontano le cronache che in un primo momento, l’assessore regionale all’Economia, Luca Bianchi da Roma, si era detto disponibile.  Salvo poi, dopo una consultazione con il Presidente della Regione, Rosario Crocetta, , fare marcia indietro: il ruolo di possibile acquirente dell’Irfis non si tocca. E, infatti, la norma è passata con il suo comma.

Ma i dubbi posti in Aula dai deputati restano tutti. Vediamone alcuni:

“L’IRFIS – ha detto in Aula Giorgio Ciaccio del M5S- è sempre una nostra compartecipata.  In questo caso sembra quasi che cerchiamo di recuperare risorse e dall’altro saremo destinati a sborsarle. Quindi, la parte che eventualmente impegna l’IRFIS all’acquisto di queste partecipate, noi chiediamo che venga cassata”.
Per Roberto Di Mauro del Mpa, “questa norma non ha senso, perché da un lato manifesta una volontà di dismettere che scaturisce da una norma nazionale e dall’altro lato intende, se per caso non dovessero essere raggiunti gli importi indicati in qualche certificazione del bilancio, vendere questa quota all’IRFIS che, ricordo a tutti quanti, è al 100% della Regione siciliana, quindi la Regione venderebbe a sé stessa”.
Toti Lombardo, sempre del Mpa, ha posto l’accento sui 60 milioni di ricavo previsti. “Siamo sicuri che sia una cifra congrua? Nell’ultimo anno le azioni Unicredit si sono notevolmente rivalutate.  La richiesta è sempre quella, e la sintetizzo: un dettaglio maggiore, una divisione fra le partecipazioni qualitativamente appetibili, e non qualitativamente appetibili dal mercato e poi, francamente, non accettiamo che l’IRFIS possa acquisire queste somme con un prezzo di riserva, anche perché oggi la governance dell’IRFIS – definiamola così – è contraddistinta da uomini di grande impegno nel settore industriale e imprenditoriale che, naturalmente, sapranno gestire al meglio questa nostra società, però non vorrei che vengano corroborate quelle parole, molto spesso dette anche senza contezza dei fatti, che vogliono che vi siano degli interessi che naturalmente non ci sono, e ne sono sicuro, ma il comma 2 potrebbe indurre in errore chi pensa il contrario”.

Mimmo Turano (Udc)m anche lui contrario ha posto l’accento sulla necessità di specificare nella norma il ricorso ad un Advisor e i dettagli della procedure di evidenza pubblica: “Non è prevista nell’articolato la procedura per la definizione della valutazione delle quote societarie, e credo che questa vada affidata ad un advisor a sua volta individuato con una procedura di evidenza pubblica. Diversamente sarei io, o qualche altro, a capire quanto vale una società e questo, secondo me, è un fatto indispensabile per la buona riuscita dell’operazione. Inoltre, al comma 3 viene indicata una stima prudenziale – dice l’assessore – di introito nelle casse indicato in 60 milioni. Che cosa succede quando non si arriva a questa cifra? Allora bisogna scrivere nel bando che, qualora non si arriva ai 60 milioni, le procedure sono decadute”-

Per Santi Formica (Lista Musumeci): “Non ha senso fare una partita di giro come è quella che si prevede con quest’articolo, e prosciugare le risorse dell’IRFIS che potrebbero, e dovrebbero, essere impiegate per fornire credito direttamente alle piccole e medie imprese siciliane, come peraltro è previsto in larga misura in tanti altri articoli di questa finanziaria, Delle due l’una, noi pensiamo che può essere un’idea giusta che il Governo crei nuovamente un nostro Istituto bancario, oggi soprattutto che non c’è possibilità di credito, e che le nostre imprese sono strozzate dalla mancanza di credito, ma non si può contestualmente andare a sequestrare le disponibilità, e che disponibilità, sessanta milioni di euro, che in atto sono nella disponibilità stessa dell’istituto. E’ una grande contraddizione in termini”.

Osservazioni alle quali l’assessore Bianchi ha così risposto: “L’unico motivo per il quale era stato previsto il comma di IRFIS era esclusivamente una garanzia sul prezzo di vendita e sulle entrate. Quindi, prendiamo atto delle osservazioni effettuate e già anticipo che il Governo è disponibile anche ad un eventuale emendamento soppressivo del comma 2 che non è l’elemento strategico dell’articolo che, invece, è proprio quello della cessione che, però, è chiaro, deve da una parte salvaguardare l’entrata che, come vi dicevo, è stata stimata in valori molto prudenziali, anche rispetto ai valori semplicemente delle società che vi avevo citato”.

Disponibilità a ritirare il comma 2, che come vi abbiamo detto sopra, è stata  poi ritirata.


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