C’è da invertire una tendenza negativa che il mercato riflette impietosamente e che per la realtà produttiva siciliana può diventare problematica. Il «giro» del latte in Italia si è contratto del 25 per cento negli ultimi 9 anni. Che la colazione a casa fosse passata di moda si sapeva, mentre più preoccupante per un’industria come Parmalat è la «demonizzazione» che da qualche anno ha preso di mira il mondo lattiero-caseario. «Non è vero che il latte fa male, anzi ogni essere umano dovrebbe assumerne molto di più ogni giorno per fare scorta di calcio e proteine», ripetono gli esperti radunati allo stabilimento del marchio Latte Sole, alla Zona industriale etnea. Una, cioè, delle due fabbriche di Parmalat – dal 2011 controllata dalla multinazionale francese Lactalis – in Sicilia (l’altra è a Ragusa). Ovvero il terminale di circa il 50 per cento del latte prodotto nell’Isola. «Siamo nella Regione dove abbiamo il maggiore impatto sul Pil locale in tutta Italia», sottolinea il general manager Giovanni Pomella.
L’altro numero importante della giornata sono i dieci milioni di euro spesi in cinque anni – sei milioni negli ultimi tre – per l’ammodernamento totale dello stabilimento di Catania. Opera addirittura «immane», secondo il direttore dell’impianto Giuseppe Ignizio, ma «fondamentale per rilanciare la nostra produzione». Che è basata sull’impegno di circa 130 dipendenti, «tutti siciliani», ed è volano per un indotto stimato in settemila addetti. «Sono 90 milioni i litri di latte siciliano acquistato da Parmalat», precisano dall’azienda. L’incontro fra la fabbrica Sole di Catania e l’opinione pubblica scorre così rimarcando in ogni modo il valore essenziale della filiera Parmalat in Sicilia. Il prezioso asset che giustifica il corposo investimento nel rinnovo delle linee produttive, fatto anche di tre milioni investiti sul Ragusano.
«Il nostro reparto confezionamento è stato interamente riprogettato e rinnovato – illustra Ignizio – così come gli impianti di pastorizzazione e di sterilizzazione, adesso basati sull’iniezione diretta a vapore». Un ciclo di modernizzazione avviato nel 2015 «senza che la fabbrica si fermasse un solo giorno – rimarca il direttore dello stabilimento – anche grazie all’attaccamento e alla passione dei nostri dipendenti». Il tour nel cuore del’impianto scorre fra bottiglie di plastica lanciate a velocità sui binari dei macchinari, prima vuote, poi riempite al volo di latte fresco e subito sigillate, marchiate con la scadenza e confezionate. Diversi addetti monitorano il processo in camice bianco. «Sono 1800 le analisi che giornalmente conduciamo qui dentro», riportano orgogliosi i tecnici. Una volta inscatolato, il latte si mette in viaggio per l’Isola. «La sola logistica legata a Parmalat vale due milioni e mezzo di euro», viene sottolineato.
Come salvare dalle asprezze del mercato un patrimonio produttivo e occupazionale più unico che raro nella depressa Sicilia? «Puntando sul legame col territorio, conciliando la produzione industriale con i mercati locali», dice l’azienda. Meccanismo che nell’ultimo anno potrebbe essersi arricchito di un prezioso tassello: «Dopo le acquisizioni compiute da Conad, Arena, Crai e Despar abbiamo per la prima volta dei distributori che sono siciliani così come il prodotto che è destinato alla commercializzazione», ricorda il direttore vendite Vito Chillemi. Una vitalità che non va dispersa, come ribadito dal presidente di Confindustria Catania Antonello Biriaco. «Tra mille difficoltà – commenta – in questa Zona industriale si produce tanto Pil perché c’è una grande capacità di reazione che va incoraggiata e sostenuta attraverso l’attenzione delle istituzioni pubbliche».
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