La reazione mostrata in un secondo tempo giocato con lo spirito giusto non cancella la prova deludente fornita nella prima frazione di gioco. Resta il rammarico, nonostante il pari siglato nel finale, per non avere vinto una gara ampiamente alla portata
Palermo, un punto ma anche tanti rimpianti A Venezia un esame buono solo a metà
Al di là del risultato. Non è il titolo di un film o lo slogan che campeggia su uno striscione dei tifosi. E’ la chiave attraverso la quale chi decide di aprire la scatola del match Venezia-Palermo si accorgerà, sul fronte rosanero, che il pari maturato ieri sera al Penzo è la punta di un iceberg che affonda le proprie radici su una base friabile. Dietro l’1-1 c’è un terreno tutto da esplorare. Ed è un territorio dominato da perplessità e rimpianti alimentati da ciò che poteva essere e non è stato. Dalla consapevolezza che il Palermo, soprattutto sul piano del gioco e della mentalità, avrebbe potuto e dovuto fare di più per conquistare l’intera posta in palio. La vera nota lieta della serata è l’epilogo della gara con un punto che serve a muovere la classifica e a dare un minimo di continuità al successo casalingo con il Lecce. Quasi tutto il resto è un mix di contenuti e di comportamenti da archiviare nel registro con il segno ‘meno’.
La conquista di un risultato utile sul campo degli arancioneroverdi non basta ad assolvere o a deresponsabilizzare la compagine di Stellone che, al netto della seconda parte della ripresa giocata con una certa caparbietà e con il pedale dell’acceleratore premuto, deve recitare il mea culpa per una serie di ragioni. Perché sbagliare l’approccio alla partita? Perché ripetere gli stessi errori della sfida esterna a Crotone? E perché regalare di fatto un tempo agli avversari considerando che nella prima frazione di gioco, sulla falsariga del copione recitato lo scorso 26 febbraio allo stadio Scida, la squadra non ha quasi mai tirato in porta? La ripetitività di certe dinamiche ridimensiona la positività del punto ottenuto in Laguna e anche la reazione di orgoglio mostrata dopo il rigore fallito da Nestorovski, ipnotizzato dal portiere al 26′ della ripresa. I rosanero non si sono disuniti e con lo spirito giusto hanno continuato ad attaccare alla ricerca di un pareggio che tirando le somme è più che meritato ma è lecito chiedersi il motivo per cui debbano svegliarsi tardi. E per il quale bisogna necessariamente prendere uno schiaffo (in questo caso il tap-in vincente al 39’ dell’attaccante Bocalon, abile a correggere in rete un assist di Bruscagin e protagonista nel corso del match di una serie di duelli fisici con i difensori avversari, in primis Bellusci) prima di entrare in partita e dare in campo concreti segni di vita.
Stellone giustamente parla di continuità come obiettivo primario da raggiungere ma il concetto vale anche nell’ambito della stessa partita e non solo in termini di risultati. Per legittimare le proprie ambizioni i rosanero devono crescere notevolmente dal punto di vista della personalità e della regolarità. La squadra vista ieri nel primo tempo – molle, poco reattiva e in campo senza grinta e ardore agonistico – non è nelle condizioni di fare tanta strada. Per andare in A serve il Palermo ammirato nei secondi 45 minuti di gioco, impreziositi dal settimo gol stagionale di Puscas (sugli sviluppi di un corner il rumeno ha siglato la decima rete di testa dei rosa in questo campionato), ma il gruppo, costretto ad un certo punto a fare i conti con un portiere (Vicario) in vena di prodezze, deve imparare che le partite durano 90 minuti. E che determinati atteggiamenti – il riferimento è alla passività con la quale è stato gettato al vento il primo tempo – non sono tollerabili. In una fase del campionato, oltretutto, in cui la posta in palio è diventata molto alta e in cui il margine di errore si va riducendo sempre di più.
E a proposito di rammarico e dispiacere, sentimenti che in relazione al risultato di ieri dovrebbero prevalere nell’anima di un collettivo che vuole raggiungere a tutti i costi il traguardo prefissato e che avrebbe potuto consolidare il secondo posto in classifica avvicinandosi ulteriormente alla capolista Brescia, sul piatto della bilancia va messo anche il peso dell’avversario. E’ vero che il Venezia è una compagine ostica a prescindere dalle difficoltà sancite dalla classifica, è vero che Cosmi (subentrato a Zenga) ha lasciato subito una traccia riuscendo ad applicare un piano d’azione impostato con il 3-5-2 per fare densità nella zona nevralgica e chiudere gli spazi ma è innegabile pure che il Palermo è superiore e che, con maggiore lucidità e attenzione, avrebbe potuto imporre questa superiorità.
Tornare da una trasferta senza sconfitta fa sempre comodo ma la partita che i rosa hanno pareggiato (con lo stesso punteggio della semifinale d’andata dei playoff della passata stagione) era ampiamente alla portata. E la porzione del secondo tempo (introdotta da una conclusione di Rispoli da fuori area che ha sfiorato l’incrocio dei pali e caratterizzata tatticamente da un Palermo all’arrembaggio prima con un 4-2-4 e poi con un 4-3-3 a trazione anteriore in seguito agli ingressi di Falletti e dell’ex di turno Moreo) in cui i rosanero sono riusciti a mettere alle corde i padroni di casa conferma che, anche se l’1-1 di Puscas è arrivato all’84’, rispetto al punto guadagnato è quella che fa riferimento ai due punti persi la prospettiva più corretta con cui osservare e analizzare il pareggio maturato in terra veneta.