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Il referendum sul grembiule a scuola, la psicologa pediatrica: «Una lezione di vita sociale e comunitaria»

Come molti altri dibattiti diventati poi dei tormentoni, è tornato quello sul grembiule alle elementari. La discussione tra chi è a favore e chi è contro – che si ripresenta ciclicamente in forme, dimensioni e colori diversi – è stata involontariamente ispirata dalla preside dell’Istituto comprensivo Rita Borsellino di Palermo. Alcuni giorni fa, infatti, la dirigente scolastica ha indetto un referendum tra i bambini e le bambine della scuola primaria per far decidere direttamente a loro se abolire il grembiule come uniforme scolastica. La decisione è nata dopo che la preside ha ricevuto una lettera da alunni e alunne di due quarte elementari, che chiedevano di non indossare più il grembiule perché scomodo. Visto che la lettera era arrivata solo da una cinquantina di studenti, la dirigente scolastica ha pensato di coinvolgere tutti i bambini e le bambine che frequentano la scuola. È importante ricordare che sul tema del grembiule a scuola non c’è una regola ministeriale fissa, ma ogni istituto decide per sé nell’ambito dell’autonomia scolastica.

«Tra chi studia psicologia infantile e pediatrica non ci sono posizioni univoche sul tema», dice a MeridioNews Concetta Polizzi, psicologa pediatrica e professoressa associata di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione al Dipartimento di Scienze psicologiche, pedagogiche, dell’esercizio e della formazione all’Università di Palermo. Polizzi – che fa parte della Società italiana di psicologia pediatrica (S.i.p.ped) – dice che «far indossare il grembiule a scuola nasce nella logica di ridurre al massimo la percezione delle differenti possibilità economiche delle famiglie, ma in realtà la cosa serve anche per motivazioni pratiche: ordine e pulizia del bambino e per non far sporcare i vestiti quando si fanno attività creative, magari con colori e plastilina». Polizzi, però, osserva che «il grembiule non riesce da solo a eliminare le differenze, anche perché alcuni bambini vanno a scuola con scarpe firmatissime. Però – aggiunge – ha un altro grande compito: aiuta ad avere un’identità e un senso di appartenenza rispetto a quella specifica scuola». Ma secondo Polizzi «in questa vicenda la cosa più interessante – se la leggiamo con un occhio educativo e orientato allo sviluppo – è la risposta che la dirigente scolastica ha dato a un’istanza venuta proprio dai bambini, non sappiamo se più o meno orientata da adulti».

Secondo la psicologa pediatrica, infatti, «la decisione della dirigente di indire un referendum – e di farlo organizzare direttamente ai bambini – è molto importante nella prospettiva dello sviluppo». Con questa iniziativa «si permette loro di scegliere – dice Polizzi al nostro giornale – In questo modo i bambini vengono accompagnati sin da piccoli a essere agenti attivi». Quello dell’agentività è un concetto a cui Polizzi tiene molto. «Non vuol dire protagonismo, ma significa che ti assumi una responsabilità: in questo caso diventi partecipante attivo della vita scolastica». È un approccio decisamente diverso rispetto a quello che siamo abituati a vedere applicato nelle scuole o nelle realtà in cui degli adulti devono gestire bambini e bambine. «Questa preside – continua Polizzi – ha attuato un’azione educativa potentissima e molto interessante: ha dato ai bambini una responsabilità – calibrata sull’età che hanno – e ha insegnato loro che per promuovere delle idee serve passare dal dibattito civile e dal confronto». Secondo Polizzi, pratiche come questa possono aiutare a scardinare il meccanismo per cui «molti bambini pensano di dover per forza ottenere quello che vogliono, senza considerare minimamente il punto di vista dell’altro». E poi c’è un’altra cosa molto importante, che in realtà riguarda anche gli adulti.

«Si tratta della gestione della frustrazione – dice l’esperta – Quella della preside è una lezione di vita sociale e comunitaria, attraverso la quale il bambino può imparare anche a tollerare la frustrazione» legata al fatto di non vedere realizzata una cosa che si vuole o che si propone. «Questo – aggiunge Polizzi – è anche un modo per insegnare la non prevaricazione sull’altro, quindi il rispetto delle posizioni altrui. Ricordiamoci che non tollerare la frustrazione può anche sfociare in azioni violente: per i bambini il bullismo, per gli adulti cose ancora più gravi, compresi i femminicidi». Secondo Polizzi, «l’agentività dovrebbe essere praticata fin da piccoli, così che i bambini capiscano di poter essere agenti attivi del cambiamento»; questo può aiutarli, in prospettiva, ad avere una certa percezione di sé e del proprio agire attivamente all’interno della società. Ma «la preside – continua la psicologa – ha fatto anche un’altra cosa: ha restituito ai bambini il potere del pensiero e della libertà di pensiero».

Libertà di pensiero «affiancata alla consapevolezza che possono esistere opinioni diverse dalle nostre», dice Polizzi per spiegare il concetto di teoria della mente. «Quando i bambini hanno quattro o cinque anni questa cosa è misurabile – spiega la psicologa – a sette è già sviluppata». Secondo Polizzi, «essere consapevoli che sulle cose possono esistere posizioni diverse è importantissimo per il benessere dei bambini (e, in prospettiva, degli adulti), visto che nell’età che si ha quando si va a scuola primaria lo sviluppo sociale è molto forte: i compagni e il gruppo diventano importantissimi». La psicologa ci dice anche che con il referendum sul grembiule «i bambini stanno anche imparando il concetto di maggioranza e la rinuncia a parti di sé e del proprio pensiero». Al netto della questione relativa alla presunta scomodità del grembiule e alla sua bassa tollerabilità nelle aree in cui si raggiungono temperature elevate, resta da capire quando si svolgerà il referendum nell’Istituto comprensivo Rita Borsellino di Palermo e come andrà. L’augurio, comunque, è che buone pratiche educative come queste possano essere replicate anche in altri istituti, così da sperimentare metodi che potrebbero anche diventare prassi consolidate.


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