Palermo raccontata attraverso i negozi di dischi Tra vinili spariti, punk berlinesi e caverne rock

Anni fa, quando riuscivo a rubare attimi preziosi alle lancette dell’orologio, l’obbiettivo era quello di raggiungere velocemente i negozi di dischi di fiducia sparsi per la città, come una caccia al tesoro durante la quale ti ritrovi ad avere come unica cosa certa il tuo punto di partenza, senza sapere cosa mai potrebbe succedere, quindi senza conoscere la vastità di dischi, di vinili, che incontrerai nel tuo cammino. Ognuno di quei negozi conservava una personalità, una caratteristica, un potere, in ognuno di essi si respirava un’aria differente. I negozi di dischi erano delle palestre culturali, luoghi di incontro e di scambio dove poter crescere ed arricchirsi, in modo differente ma pur sempre vero.

Nel bel mezzo della via Libertà, illuminate dal rimbalzo dei raggi solari, si dispiegavano le grandi vetrine di Ellepì. Quel posto era la patria della ricerca al dettaglio, d’altronde si contornava di una clientela d’un certo spessore e per chiunque vivesse scene alternative era visto come il negozio di dischi dei fighetti. Lì riuscivi ad acquistare i biglietti dei concerti al box office e poi ti davano una carta punti che ti dava accesso ad alcuni regali non appena completa. Il carico di vinili provenienti dall’Inghilterra era invidiabile ed anche la sezione Jazz e Classica stupiva, ma nulla a che vedere con l’accuratissima selezione di Discobum, che in quanto a musica classica vinceva ogni match.

Discobum ha resistito davvero tanto, ma anche lì la polvere ha raggiunto ogni centimetro di superficie. Del supporto vinilico, del disco cosa è rimasto oggi? Un mito, un eroe immortale che oggi, per fortuna, ha ritrovato spazio che sia per passione o per moda, ma che ha perso il suo giaciglio originario, il negozio, la bottega, oggi scomparso per lo più. C’era un minuscolo negozio, in via Terrasanta, era gestito da Emilio Taormina, uno degli ultimi a cedere nella giungla palermitana. Lì dentro la luce era sempre troppo fioca e cercare tra vari titoli era complicato perché gli scaffali erano stretti. Ma era assolutamente facile trovare delle rarità, soprattutto se amanti del Jazz.

Palermo si è rinforzata nel tempo grazie anche a vere e proprie dinastie: una delle storie più interessanti è quella della famiglia Principe. Un padre, Salvatore, che nessuno ha mai chiamato in altro modo se non Signò Principe, due fratelli, Giampaolo e Pierluigi. Salvatore Principe era un dj, a un certo punto divenne un fornitore e un produttore, ed è riuscito in un certo senso a instradare e alimentare la passione dei due giovani. Aprì Supersound, un contenitore stracolmo di storie, un lista infinita di titoli, un trasmettitore passionale di musica. D’altronde, storia vera, quel negozio passò poi al figlio che si dovette spostare da piazza Virgilio alla via Belgio, mentre il fratello riusciva ad aprirne un altro, il famoso Crush Dischi di via XII Gennaio. Per accedere a quel negozio bisognava scendere alcuni gradini, ci si ritrovava così ad un livello più basso, effettiva trasposizione ideologica dell’underground, quello era un posto pazzesco! Una sorta di caverna: li potevi trovare parecchi vinili di stampo alternativo, dischi della seconda ondata del punk rock, il periodo d’esplosione dei Green Day, e Pierluigi raramente teneva il volume basso mentre davi un occhio alla merce, quello era il vero coinvolgimento.

Master Dischi e Diskery, quelli erano dei negozi abbastanza seriosi tanto da aver mantenuto un immaginario collettivo stabile dall’inizio alla fine della loro vita. Il primo si trovava sempre in zona Libertà, questo fa davvero capire quanto fermento ci fosse un tempo. Il secondo fuori dal centro, in via Aquileia e sparì pochi anni fa da un momento all’altro. Esisteva un posto, un involucro di legno grezzo sporco, scuro, era molto grande ad ogni modo e ben visibile dall’esterno. Si trovava in via Rosolino Pilo e a chi mai fosse passato li in quegli anni difficilmente sarà capitato di andare oltre senza fermarsi. Quel negozio si chiamava Musicomania ed era gestito principalmente da Massimo Spinosa, un ragazzone rasato e pieno di tatuaggi, con l’aiuto della madre e in un secondo momento del fratello più giovane. Avete presente il quartiere di Kreuzberg a Berlino? Sembrava proprio uno di quei negozi gestiti da vecchi punk berlinesi, risuonava punk, era pieno di grottesche immagini metal, appena entravi venivi rapito e avvolto dai mille consigli che Massimo stesso voleva darti. I suoi vinili d’importazione erano ben selezionati e come già detto, erano il punk, l’hardcore e il metal a far da padroni. Accanto al banco cassa all’ingresso ti ritrovavi davanti una grande parete bianca con dei vinili dai prezzi assurdi, ma introvabili, una sorta di wall of fame. La città respirava in modo differente ma carico in ogni dove.

All’angolo tra la via Dante e piazza Castelnuovo, invece, c’era Track Dischi, strano nome. Luogo d’appuntamento fisso di buona parte della scena hardcore cittadina. La sera poi ci si spostava tutti quanti un po’ più avanti sulla stessa via Dante alla locanda di Bartolo, fulcro degli anni d’oro dell’underground a Palermo. Questa è soltanto una semplice mappa, uno sguardo. Oggi non c’è traccia di quei luoghi. Abbiamo la fortuna di poterci aggrappare a capisaldi della nostra scena come Bizio Rizzo che dopo aver tentato con il suo minuscolo e assolutamente indipendente Record Sucker di corso Vittorio Emanuele adesso spinge in avanti con forza e attitudine il concetto musicale con il suo Rizzo Manufacture Studio & Record Store in via Ruggero Settimo, ma quella stessa forza e attitudine dovrebbe far riflettere e far capire quanto importante sia mantenere saldo il valore della musica, se pur cavalcando l’imponenza dell’evoluzione. 


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