Palermo, quel che resta di An

Ormai l’analisi del voto non è di moda. Soprattutto quando si perde. Ormai si sorvola. Si passa ad altro. Nessun ragionamento sui numeri. Sul perché, per esempio, nella lista di Futuro e libertà (Fli) nelle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale i Palermo non ci sia nemmeno un candidato con mille voti. Nemmeno uno. E dire che Futuro e libertà è, o dovrebbe essere, il partito che dovrebbe far nascere – o rinascere, ancora non l’abbiamo capito bene – la nuova e moderna destra italiana. Non a caso, a fondare questo partito, è stato il presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, già leader di Alleanza nazionale.

Possiamo dire che, grosso modo, dal 2007 ad oggi i dirigenti di Alleanza nazionale – e il riferimento è a quelli che sono transitati e rimasti nel Pdl e a quelli che, con Fini, hanno dato vita a Fli – non ne hanno indovinata una. Ma ridursi, a Palermo, al 4,32 per cento è veramente un tonfo.

A Palermo la destra ha una certa tradizione. Non radicata come a Catania, ma pur sempre una tradizione di tutto rispetto. Nel capoluogo dell’Isola ci sono state figure storiche della destra che hanno svolto ruoli di primo piano nella politica siciliana, da Guido Lo Porto a Giuseppe Tricoli, fino ad Angelo Nicosia. Con molta probabilità, qualcuno definirà questa analisi politica sbagliata, perché è sbagliato guardare al presente con gli occhi del passato. E, in parte questo è vero. Però tutto questo diventa parzialmente vero nel momento in cui è lo stesso Fini a dire e ribadire che Futuro e libertà è una formazione politica nata per rilanciare in Italia una destra moderna. Se la ‘missione’ di Fli è questa, la nostra analisi ha una propria logica. Anche alla luce del fatto che non vediamo, oggi, la maturazione politica di un nuova formazione moderata che dovrebbe vedere insieme il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini, il leader del Pdl (oggi, in verità, un po’ azzoppato), Angelino Alfano, e lo stesso Fini. Se non altro perché questi tre partiti non ci sembra siano usciti vincitori dalle elezioni amministrative di tre giorni fa. Anzi.

Proprio a Palermo è fallita miseramente l’idea, un po’ approssimativa, di un candidato sindaco che avrebbe dovuto fare ‘sintesi’ tra il Pdl di Alfano, l’Udc di Casini e i finiani. I primi a staccarsi dal progetto sono stati questi ultimi – cioè i dirigenti palermitani di Fli – che hanno preferito restare nel governo regionale di Raffaele Lombardo. Poi è fallito pressoché totalmente il progetto di Massimo Costa, che  avrebbe dovuto suggellare l’asse tra Pdl e Udc.

Già, il governo regionale. E qui sta, forse, una delle ragioni della pesante sconfitta di Futuro e libertà a Palermo: sconfitta doppia, sia perché il candidato sindaco del capoluogo dell’Isola, Alessandro Aricò non è riuscito ad andare al ballottaggio, sia perché la lista alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale non è riuscita, come già ricordato, a superare la soglia del 5 per cento, percentuale indispensabile per avere propri rappresentanti a Sala delle Lapidi, la sede del consesso comunale.

Futuro e libertà è, o dovrebbe essere, come ha detto lo stesso Fini, la formazione politica che dovrebbe dare all’Italia una moderna destra. Bene: che ci fanno, allora, gli uomini di Fli in una giunta regionale insieme con il Pd? Si parla molto, in questi giorni, di antipolitica. Ma che cosa c’è di più antipolitico di un partito, che si professa di destra, e che fa parte di un governo regionale di centrosinistra solo per tenersi le poltrone? Il tutto con l’avallo dello stesso Fini che, forse, in questa fase politica, non sa nemmeno lui dove andare. Perché un elettore di destra non dovrebbe trovare orrida la linea politica di Fli in Sicilia? Ha torto Nello Musumeci quando dice che il suo partito – La Destra – è il vero erede di questa tradizione politica?

C”è, in questa scelta trasformista e antipolitica, una buona dose di squallore politico. E’ la già citata smania di tenersi le poltrone costi quel che cosi. Certo, anche a Palermo ci sono dirigenti ex An rimasti del Pdl. Ma questo spiega solo in minima parte la secca sconfitta di Fli alle elezioni comunali. Se non altro perché la lista del Pdl non ha brillato (per non parlare del fatto che gli stessi uomini ex An dentro la lista del Pdl non hanno proprio certo raccolto grandi consensi).

C’è un altro elemento che vogliamo segnalare a proposito del trasformismo politico di Futuro e libertà. Ancora nella seconda metà degli anni ’90, da poco ‘sdoganati’ da Berlusconi grazie al quale, in fondo, l’Msi è stato trasformato in Alleanza nazionale, nei dirigenti siciliani di questo partito esisteva e resisteva una forte ritrosia verso il clientelismo tardo democristiano rintracciabile, in quegli anni, nel Ccd e, soprattutto, nel Cdu allora capeggiato da Totò Cuffaro.

Ebbene, di quella sana ritrosia verso il clientelismo dentro Fli non è rimasta nemmeno l’ombra. E qui non parliamo della gestione – comunque assolutamente clientelare – dell’assessorato regionale al Turismo, oggi ‘feudo’ quasi personale dell’onorevole Carmelo Briguglio. Ci riferiamo, in senso lato, alla partecipazione attiva a tutte le clientele tardo democristiane del governo Lombardo, dalla gestione della formazione professionale (dove esponenti di questo partito sono addirittura titolari di enti foraggiati con denaro pubblico) alla spartizione di posti nel mondo della sanità e ad altre forme di degenerazione della vita pubblica. Tutti fatti che, ancora alla fine degli anni ’90, i dirigenti di An disprezzavano e stigmatizzavano.

Ultima notazione: An, a Palermo – e prima l’Msi – aveva un certo radicamento sociale. Proprio nel Consiglio comunale di Palermo la destra ha avuto consiglieri comunali storici. Adesso è tutto scomparso. Complice, anche, una selezione berlusconiana della deputazione e leggi elettorali che hanno mandato avanti – con riferimento al parlamento nazionale – personaggi privi di consenso popolare.

Così scopriamo che nella lista di Fli alle elezioni del Consiglio comunale di Palermo ci sono candidati (uno, in particolare, è stato più volte parlamentare nazionali negli anni ’90 e in quest’ultimo decennio) che raggiungono a malapena i 700 voti di preferenza. Scavando fino in fondo, scopriamo che sono stati eletti con leggi elettorali che consentono di andare ad occupare lo scranno di parlamentare nazionale su segnalazione romana o di vari potentati. Con la probabilità, tutt’altro che remota, che altri dirigenti, magari con alle spalle il vero consenso popolare, siano rimasti a casa.

C’è da stupirsi, poi, se tra il ‘trasformismo’ alla Regione e assenza di radicamento elettorale, Fli di Palermo crolli?

 

Diogene Laerzio II

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