Palermo, la chiesa di San Matteo al Cassaro tra cronaca e storia

di Aldo Di Vita

Fra la fine del 1500 e buona parte del 1600 per i palermitani era familiare l’incontro quotidiano di un frate che chiedeva l’elemosina per aiutare i bisognosi.

Con l’abito di frate minore francescano, con la bisaccia che riempiva di pane e quanto altro poteva servire per sfamare i suoi poveri, con in mano il “coppo” (salvadanaio) per la raccolta delle offerte in denaro, dalle prime ore del mattino, dopo avere ascoltato la S. Messa e fatta la S. Comunione nella Chiesa di Santa Elisabetta delle Suore Terziarie Francescane  in piazza Vittoria, Fra Leonardo Galici avvicinava sorridente i palermitani che erano contenti di fare per lui l’opera buona della giornata.

Sul far del mezzogiorno il frate questuante, che già per istrada aveva soccorsi i poveri a domicilio, varcava la soglia del carcere “la Vicaria” che aveva allora la sua sede fra la Cala e piazza Marina in quell’edificio che oggi l’Ufficio delle Finanze.

I reclusi aspettavano il frate della provvidenza che portava loro il pane, sostentamento del corpo, e la comprensione e l’amore fraterno, sostentamento dello spirito per quanti, come essi, erano nella disperazione e nell’afflizione. (sopra, foto tratta da palermodintorni,blogs…)

Frate Galici, figlio di un calzolaio, era nato a Palermo nel 1572, all’età di 15 anni sentì la vocazione alla vita religiosa ed entrò nel convento di Santa Maria di Gesù come postulante sotto la saggia guida di San Benedetto da San Fratello detto il Moro, dal quale ricevette il saio francescano.

Ma una misteriosa febbre lo costrinse a tornate in famiglia; rientrato in convento la febbre riapparve e fu lo stesso San Benedetto a dire a fra Leonardo che quello era un chiaro avvertimento del Signore che voleva che il frate facesse il suo apostolato fra il popolo piuttosto che in monastero.

Fra Leonardo, pur restandonello spirito un frate francescano, visse con gioia la sua missione di apostolodella carità fra i poveri e i diseredati.

In una delle lunghe riflessioni che lo univano al Signore, quando, dopo la fatica della giornata passata a questuare, riposava nella solitudine della sua casetta, Fra Galici sentì un giorno il Signore che gli diceva: “Bene fai a procurare il pane per i poveri affamati, ma non dimenticare che i poveri da aiutare non sono solo in terra, ci sono povere anime del Purgatorio che hanno bisogno del pane, sostentamento del corpo, che più non hanno, ma hanno bisogno di suffragi, di preghiere e soprattutto di Sante Messe”.

Fra Galici ne parlo al suo padre spirituale econ il suo consiglio chiese al Vescovo di poter raccogliere, col pane per ipoveri della terra, le elemosine per la celebrazione delle Messe in suffragiodelle Anime del Purgatorio, soprattutto le più abbandonate.

Il Vescovo non potè non approvare il desiderio del frate il quale iniziò subito la nuova attività coinvolgendo in essa i laici che riunì in una Confraternita che chiamò Compagnia dell’unione dei Miseremini, alla quale il 28 maggio 1603 Papa Clemente VIII diede il titolo di Arciconfraternita.

Il numero delle Messe da far celebrare in suffragio delle Anime del Purgatorio fu presto così numeroso da richiedere una Chiesa dove poterle celebrare e dove potere riunire i già numerosi Confrati del nuovo sodalizio.

Nella via del Cassero, oggi corso Vittorio Emanuele, attaccata al monastero di Santa Caterina, c’era, chiusa al culto, la Chiesa di S. Matteo, fabbricata dal conte Ruggero nel 1088, che era servita ai PP. Domenicani per le funzioni religiose durante la fabbrica di S. Domenico.

Fra Galici la ebbe in uso e la Chiesa divenne la sede dell’Arciconfraternita dell’Unione dei Miseremini e il luogo della celebrazione delle Sante Messe per le Anime del Purgatorio.

Ma ben presto essa risultò piccola e per il numero dei Confrati e per la celebrazione delle Messe (si dice che incerti giorni ne celebrassero cento).

I Confrati, e il primo fraloro il frate fondatore, misero gli occhi sul terreno di fronte S. Matteo il vecchio, dove erano delle casette che i Confrati comprarono. C’era poi un palazzo con annesso giardino, del Dott. Mario Muta, celebre giureconsulto, il quale sulle prime non si mostrò disponibile né alla vendita, né alla donazione, ma cambio parere dopo avere sognato il Purgatorio.

La donazione avvenne il 17 settembre 1631 presso il Notaro Giovanni Giacomo Belmonte.

Grande fu la gioia del padre mendicante che si prostrò a baciare la terra. I lavori della nuova fabbrica furono affidati a Mariano Smiriglio, architetto regio.

Con grande solennità l’arcivescovo del tempo Cardinale Giannettino Doria nel giugno del 1633 dava inizio ai lavori benedicendo la prima pietra.

Fra Leonardo Galici ebbe la gioia di assistere a quella cerimonia, vide iniziare i lavori, ma non ne vide la fine.

Il 9 giugno dell’anno seguente 1634 fu assalito da febbre violenta che in nove giorni lo porto alla morte. Era il 18 giugno 1634, il frate aveva 62 anni.

I funerali si svolsero nella Chiesa di S. Elisabetta e la Messa fu celebrata dal suo amico e padre spirituale, l’abate Rocco Pirri che, all’introito, cantò l’antifona dei Santi Confessori: “Osjusti meditabitur sapientiam”.

Lo stesso Rocco Pirri volle che fosse seppellito nella tomba che per sé aveva fatto preparare nella stessa Chiesa di S. Elisabetta davanti all’altare dell’Assunta, stabilendo per testamento che il suo cadavere, alla sua morte, fosse seppellito accanto a quello del Galici.

Anche se nessun processo canonico era intervenuto, le autorità religiose del tempo permisero che al frate questuante si desse il titolo di Venerabile e se ne facesse memoria in Diocesi ogni anno il 18 giugno.

Nel 1884 per ingrandire la caserma che occupava i locali dell’ex monastero fu demolita la Chiesa di S. Elisabetta e i corpi di Fra Galici e Rocco Pirri, dopo la legale ricognizione, furono inumati provvisoriamente nel Camposanto dei Cappuccini e di là quello di Rocco Pirri a S. Domenico e quello di Galici a S. Matteo davanti l’altare della S. Famiglia, come attesta ancora oggi una lapide davanti l’altare.

Risultato inadatto quel luogo per l’umidità, i Confrati trasferirono il cadavere nell’anti sacrestia dove era stato collocato un medaglione raffigurante il Frate questuante con il “coppo” nella mano destra e il “cofino” sul braccio sinistro con la cui mano tiene il Crocifisso.

Il medaglione e i restimortali del Frate avranno definitiva sistemazione in Chiesa, a sinistra dell’altare maggiore, il 6 febbraio 1916 con una solenne cerimonia presieduta dal Cardinale Alessandro Lualdi.

Alla morte del Frate fondatore i Confrati dell’arciconfraternita dei Miseremini continuarono l’opera di carità da quello iniziato sia per i poveri della terra sia per le Anime del Purgatorio e vollero che la Chiesa di S. Matteo, eretta per implorare da Dio la felicitàeterna delle Anime del Purgatorio, fosse una delle più belle della città.

Per questo motivo affidarono l’abbellimento della Chiesa agli artisti più illustri del tempo.

Una targa in marmo bianco, murata sulla parete destra, entrando dalla porta centrale della Chiesa, registra le date delle due Consacrazioni che la Chiesa ha avuto:

“Questo Tempio che Ferdinando Andrata, Arcivescovo di Palermo aveva Consacrato il 12 marzo 1647, Severino Castelli, vescovo di Numidia consacrò il 12 marzo 1775 ed inaugurò. Essendo stato direcente rivestito di marmi insieme a tutti gli altari”.

Anche se oggi la mancanza dimanutenzione e l’usura del tempo in parte deturpano, la Chiesa si presenta al visitatore nella sua solennità ebellezza ed offre al fedele un luogo di raccoglimento e di preghiera.

L’esterno:

Prima di entrare merita uno sguardo la facciata a tre ordini rivestita di marmi grigi, datata 1662, alla quale lavorarono Gaspare Guercio e Carlo D’Aprile. Si accede al tempio dalle tre porte per vari gradini.

La porta principale è fiancheggiata da due colonne e sormontata da capitelli da una nicchia entro cui è posta una statua marmorea dell’Immacolata.

Le altre due porte, anch’esse con pilastri sormontati da capitelli di stile dorico, sono chiusi da timpani triangolari con al di sopra finestre.

Il secondo ordine reca al centro una grande finestra, circondata da due volute e due candelabri a rilievo con una targa, pure in marmo, dove in latino si legge “Questi marmi rammentano ai viventi la pietà per i morti. Impara come l’unione di cittadini istituita a sollievo delle anime purganti, copiosi ne procuri i suffragi agli altari, mentre alle porte osservi tanta supplichevole magnificenza. Nel tempio ai SS. Matteo e Mattia dedicato quest’ornamento pone a l’anno del Signore 1662 ”.

A destra e a sinistra due nicchie contengono le statue dei due Santi titolari, anch’esse opere, insieme all’Immacolata del Guercio e del D’Aprile.

Questo secondo ordine termina in due ampie volute di marmo che si ripetono in altre più grandi nell’ultimo piano in cui si notano tre con balaustre in marmo; sulle aperture laterali, anch’esse in marmo, due rilievi rappresentano due anime del Purgatorio fra le fiamme, mentre nell’apertura centrale è la cella campanaria. Questo terzoordine e attribuito a Francesco Ferrigno.

La facciata termina con ungrande timpano spezzato ove, in mezzo è collocata una Croce in ferro.

L’interno:

Il visitatore appena entrato, ha subito davanti a sé il meraviglioso scenario del tempio di attardato stile cinquecentesco, lungo 35 metri e largo 18, a croce latina, diviso in tre navate da sette colonne di stile dorico in pietra grigia, acquistate e collocate nel 1640.

Le prime due sono appoggiate al muro esterno, le ultime due ai pilastri della cupola.

Le colonne reggono degli archi a tutto sesto, rivestiti di marmi policromi con pennacchi adorni da medaglioni in stucco dorato con mezze figure dei dodici apostoli anch’essi in stucco a rilievo su fondo violaceo, attribuiti a Bartolomeo Sanseverino. Adogni arco corrisponde nelle navate laterali una cappella anch’essa rivestita dimarmo policromo, adoperato con maggiore ricchezza decorativa.

Quattro pilastri sostengono una elegante cupola poggiata su una base ottagonale affrescata da Vito D’Anna, come si legge nella base, che vi ha raffigurato il Trionfo di Maria.

Se la cupola, che è il simbolo della Chiesa, si regge architettonicamente sui quattro pilastri, la Chiesa, società dei credenti, si regge sulle virtù della Fede, della Speranza, della Carità, e della Giustizia, scolpite in quattro magnifiche statue addossate ai pilastri, opere di Giacomo Serpotta, su disegno del Ferrigno (Fede e Giustizia) e di Bartolomeo Sanseverino (Speranza e Carità).

L’esame d’insieme prosegue con lo sguardo al Cappellone o Presbiterio: dove sul pilastro di sinistra si ammira il medaglione del frate fondatore , Leonardo Galici, opera datata 11742 e commissionata dal Superiore della Confraternita Pietro Tinnaro e dai congiunti Giovanni La Cava e Gaetano Diletti. Al di sotto attraverso un vetro, si vede l’urna che contienei suoi resti mortali.

Sull’altare maggiore si può ammirare il dipinto del 1796 di Giuseppe Testa Raffigurante il Cristo che si offre al Padre per la salvezza delle anime e mentre con la mano addita il costato squarciato dal quale uscì sangue ed acqua, un Angelo offre al Padre il Calice del Sacrificio Eucaristico.

Alzando gli occhi ilvisitatore può ammirare nella volta l’affresco di Vito D’Anna con la gioia delle anime liberate dal Purgatorio entrano nella felicità delParadiso.

Davanti alle prime duecolonne sono due acquasantiere della ditta La Grassa, poste nel 1992 in sostituzione dellesettecentesche rubate nell’agosto del 1990.

Il rifacimento e stato curato dalla Confraternita di Maria SS. Addolorata degli Invalidi di Guerra con il concorso delle Confraternite e del Centro Diocesano delle medesime che, per volere del Card. Salvatore Pappalardo, Arcivescovo, ha in questa Chiesa il suocentro di spiritualità.

Continuando la visita del Sacro Tempio si possono ammirare le dieci cappelle laterali, le cui volte furono affrescate da Gaspare Giottino e Crispino Reggio nella seconda metà del XVIII secolo (1760 circa) e le parete arricchite da rivestimenti in marmo policromo, la cui tecnica , molto diffusa nel Seicento, ha una particolare applicazione in Sicilia, dove il comporre assieme ai marmi “mischi” di diverso colore crea delle particolari cromie dai toni intensi e variegati. All’internodi ogni cappella è addossato alla parete di fondo un altare con paliottosettecentesco, anch’esso in marmo policromo.

Navata destra:

La prima Cappella dell’Immacolata Concezione, presenta sopra il dipinto raffigurante l’Immacolata Concezione con i santi gesuiti, Ignazio e Francesco Saverio, una monaca domenicana, forse in riferimento alle monache di S. Caterina, e una bellafigura di giovane con il teschio ai piedi, da identificare con S. Rosalia, se si pensa che la Chiesa fu consacrata ne 1647, ventitré anni dopo il ritrovamento delle reliquie della Santa proclamata patrona della città.

La seconda Cappella è quella dedicata a S. Francesco di Paola, ancora oggi chiamato dal popolo “u santu Patri”.

Essa presenta, inserito inuna cornice marmorea sormontata da un cherubino, un dipinto che raffigura il Santo titolare della cappella. Non siconosce con precisione l’autore, ma appartiene ad un artista palermitano delXVIII secolo. Sulla mensa dell’altare si trova un mezzo busto dell’Ecce Homo.

Nella terza Cappella dell’Annunciazione è un dipinto di tale soggetto attribuito ad un pittore della scuola di Pietro Novelli, inserito in una croce di marmo sormontato da una conchiglia.

Nella cappella detta di S.Bonaventura, la quarta della navata destra, sopra l’altare, inserito nella solita cornice di marmo sormontata da un cherubino, si trova il dipinto raffigurante la “Presentazione di Gesù Bambino al Tempio” celebre opera di Pietro Novelli, il più importante esponente della pittura siciliana del Seicento.

Dinanzi la cappella è l’immagine dell’Addolorata che viene portata in processione il Venerdì Santo.

La Quinta Cappella e dedicati al culto della Vergine del Rosario. Essa presenta un dipinto raffigurante la Vergine del Rosario de 1676, data emersa dopo i recenti restauri che confuta le passate attribuzioni ora al Paladini, ora a Filippo Randazzo.

Nell’ala destra e nell’ala sinistra del transetto sono due altari di dimensioni maggiori rispetto a quelli delle cappelle laterali: l’altare del Crocifisso fra le ossa dei Santi che sono in attesa della Resurrezione e l’altare dedicato alle Anime del Purgatorio.

Accanto al primo altare vi è un medaglione in marmo giallo con in mezzo il busto di Don Camillo Barbavara cappellano maggiore della Chiesa, nonché insigne orafo del Seicento palermitano. Al centro di essa, sul piano della mensa, vi è un grande reliquario in legno dorato con al centro un Crocifisso ligneo.

Sulla porta che immette in una delle due antisacrestie si trova una cantoria in ferro battuto e un organo in legno dorato, opera di Giuseppe Lugaro, come anche l’altra cantoria a sinistra del transetto de 1871.

Il presbiterio o cappellone è chiuso da una balaustra in marmo con due sportelli in rame dorato ben lavorati dai quali sono state asportate le immagini dei Santi Matteo e Mattia, opera di Battista Serpotta del 1643. Posti sull’arco trionfale vi sono tre Angeli che reggono un grande cartiglio, pregevole opera in stucco di Giacomo Serpotta del 1728.

Subito dopo la balaustra vi è l’altare per la celebrazione dell’Eucarestia coram populo in legno con la base scolpita l’Ultima Cena, mentre accanto è posto un ambone ligneo con i simboli dei quattro evangelisti.

Sulle due pareti si aprono quattro porte ben intonate al rivestimento in marmo di tutto il cappellone. Sopra ogni porta sono quattro bassorilievi in marmo, con cornici anch’esse in marmo, raffiguranti i Quattro Dottori della chiesa: S. Gregorio, S. Agostino, S. Girolamo, S.Ambrogio, attribuiti a Vincenzo Siracusa, allievo del Marabitti.

L’altare maggiore in marmo è interamente rivestito in marmo agate siciliano e di lapislazzuli con bassorilievi in legno dorato rappresentanti scene bibliche. Fu eseguito da Filippo Cinistri sul disegno dell’architetto Giovanni Cadorna a partire dal 1798.

Il tabernacolo è a forma di tempietto circondato da colonnine; la cupoletta, lo sportellino e la targa su cui si legge “Ecce Agnus Dei” sono di lapislazzuli. I capitelli delle colonninesono in legno dorato. Le sei statuine che l’adornano sono state rubate nel 1970 e con esse i quatto Angeli in legno dorato che con le mani sostenevano la mensa dell’altare.

Sulla porta che immette al’antisacrestia si trova la cantoria in ferro battuto come sul lato destro.

Accanto l’altare a sinistra del transetto, detto delle Anime Sante, è un medaglione in marmo giallo con il mezzo busto in marmo bianco del Dottor Mario Muta, che dono la sua casa per la costruzione di questo tempio.

Alla parete, inserito inun’articolata struttura architettonica, è un dipinto rappresentante S. Gregorio che celebra la S. Messa e al momento della consacrazione vede liberare le Anime del Purgatorio opera di Leonardo Balsano (1615). Da quella visone hanno origine le messe gregoriane.

Sotto l’altare entro un’urna chiusa da vetro è collocata la statua di recente fattura della “Dormitio Beatae Mariae Virginis” detta dal popolo Madonna Assunta o di mezzo Agosto. In quest’atteggiamento si trova a Gerusalemme ed a Efeseo.

Navata sinistra:

La prima cappella e quella dell’Angelo Custode.

Sopra l’altare è un dipinto raffigurante un Angelo di artista ignoto.

Accanto all’altare si trova il monumento del Cappellano Maggiore Can. Rosario Di Gregorio, insigne storico siciliano. L’opera, addossata alla parete del contraltare, è di stile tardo settecentesco e fu eseguita entro il primo ventennio del XIV secolo da ignoto scultore locale. Ancora nel lato destro della Cappella si può ammirare un altro monumento funebre, dedicato a Giuseppe Vella, con un interessante medaglione con figura allegorica, di evidente impronta neoclassica.

La seconda e la Cappella della Sacra Famiglia. In essa, sopra l’altare, si trova il dipinto raffigurante Gesù, Maria e Giuseppe.

Ai piedi dell’altare, secondo quanto riporta l’iscrizione, furono seppelliti i resti mortali di Fra Leonardo Galici, poi, per l’umidità del suolo, trasferiti in un altro posto.

Sotto la mensa dell’altare è l’urna del Cristo Morto della confraternita degli Invalidi che va in processione il Venerdì Santo.

La terza Cappella è dedicata a Maria Santissima di Trapani e presenta una statua di marmo della Madonna con in braccio il Bambino di scuola gaginesca. Ai lati dell’altare piccole statuine devozionali di S. Rita e S. Antonio da Padova. Nelle pareti sono due lapidi commemorative: quella di sinistra dedicata a Bernardino Serio (1640) e quella di destra a Marco Gezio (1649).

Nella Cappella di S. Anna, la quarta, si trova il celebre dipinto di Pietro Novelli raffigurante “Lo sposalizio della Vergine e S. Anna”. Questo dipinto, assieme all’altro della Presentazione, è stato esposto all’Albergo del Poveri per la mostra “Pietro Novelli e il suo ambiente”. L’opera fu commissionata da Francesco Crispaldi nel 1642, come risulta dall’iscrizione posta sotto il dipinto.

La Cappella dedicata ai SS. Matteo e Mattia è la quinta delnostro percorso. In essa è collocato il dipinto di Antonio Manno, scolaro di Vito D’Anna, che raffigura i due Santi titolari.

Le volte della chiesa vennero affrescate nel 1754 da Vito D’Anna, che vi rappresento l’apoteosi dei Santi Matteo e Mattia e la liberazione delle Anime del Purgatorio nella navata centrale, la gloria di San Gregorio nella volta del transetto sinistro Adamo ed Eva e il Cristo liberatore in quella di destra.

A questo punto, prima di uscire, il visitatore ritorni al centro della Chiesa e rivolto verso la porta centrale, alzando lo sguardo in alto, godrà la visione dello stupendo rilievo nel quale il Serpotta raffigurò nel 1729 il Nazzareno nell’atto di liberare le Anime del Purgatorio che lo guardano sorridenti, se ancora fra le fiamme, mentre un Angelo depone in una cassetta l’obolo della carità raccolto fra i fedeli.

Dopo questa meravigliosa visione, il visitatore ritorni a guardare l’Altare e dia un saluto a Gesù Eucarestia chiuso nel Tabernacolo: “Signore Gesù, presente nell’Ostia Consacrata ti adoro e ti ringrazio delle grazie che hai elargito. Ti prego per le Anime dei fratelli defunti, dona loro il riposo e la felicità eterna. Amen”

La Sacrestia:

Dalla porta che sta sotto l’organo in fondo alla navata di sinistra ci si immette in una delle anti-sacrestia.

Da questa parte per una comoda scala si scende nella Cripta che occupa la parte sottostante la navata centrale della Chiesa. In essa si vedono i loculi in marmo muniti di poggia capo dove erano seppelliti i morti sin dal 1714.

Qui vennero inumati i corpi dei Confrati dell’unione dei Miseremini ed anche lo stesso Giacomo Serpotta che per motivi acquisiti presso la Compagnia fu nominato dai Governatori Confrate “ad honorem”.

L’uso di seppellire i mortinelle Chiese della città cessò con la legge del 1787 estesa poi anche alle Chiese della campagna nel 1864.

La Cripta, non più usata, è oggi in ottimo stato di conservazione; un possibile facile restauro la rimetterebbe in luce per la testimonianza storica di come seppellivano i morti sino al secolo XIX.

Dall’antisacrestia si accede all’ampia, elegantemente sobria sacrestia.

Addossati alle pareti sono disposti ampi armadi di noce intagliati dallo scultore Pietro Marino nel 1738.

Ognuno di esso aveva accanto ad ogni sportello statuine di legno di Santi del Nuovo e Vecchio Testamento, poste su artistiche mensolette; in alto lungo le cornici medaglioni ovali o rotondi con festoni e mezze figure di Anime del Purgatorio; sopra le cornici mezzibusti anch’essi in legno intagliato, raffiguranti Papi e Vescovi.

Purtroppo un furto perpetrato attorno al ferragosto del 1990 ha visto asportare questi piccoli gioielli in legno assieme a tre armadi e al tavolo scolpito del 700. Parte degli elementi scultorei e delle tele che ornavano la sacrestia sono conservate al Museo Diocesano di Palermo.

La volta e le mura dell’ampia sacrestia sono ornate di affreschi. L’affresco centrale attribuito a Filippo Randazzo è stato dipinto nel 1742. Esso rappresenta la raccolta di 12000 dramme d’argento fatte da Giuda Maccabeo e spedite a Gerusalemme per offrire al Signore sacrifici per i peccati dei morti.

Due medaglioni ovali, vicino all’affresco, mostrano gruppi di Angeli che in cartelli portano scritte le ragioni del gesti di Giuda Maccabeo e le parole di S. Paolo ai Corinti nel congratularsi per le collette fatte in favore dei fratelli.

Gli altri dipinti del 1741 sono del Sac. Giovanni Macula che dipinse gratuitamente per affetto alla Chiesa nella quale celebravale Messe.

Inserito fra gli armadi, che in quel posto hanno alcuni sedili, in un elegante baldacchino c’è un grande Crocifisso che già era posto su un altare.

Fra gli armadi un genuflessorio maschera una porta che aperta presenta un muro: sarebbe il leggendario accesso dei Beati Paoli descritto dal Natoli (con non molta spesa si potrebbe verificare la storicità o meno di quanto scritto dal Natoli).

La Sacrestia e sicuramente sorta dove era il giardino del Dottor Muta, come si rivela dal diverso stile dell’ambiente che si trova al lato opposto dell’altare: due colonne che reggono un arco di stile classico e una fontana dello stesso stile; l’angelo in marmo che versava l’acqua è stato rubato nel 1990.

Foto di prima pagina tratta da palermoweb.com


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