Risultato eccezionale, quello di Riccardo Nuti, candidato nella lista Cinque stelle al Comune di Palermo. Un risultato ancor più eccezionale se si fa mente locale al carattere dei palermitani, normalmente apatici e restii a cogliere i segnali di nuovo che vengono da fuori. Eccezionale anche per la qualità, elitaria piuttosto che di massa, del messaggio, dove mancano le proposte e abbondano le proteste, che fa riferimento al personaggio.
Un risultato che, tuttavia, è carico di solitudine: basta scorrere la lista del Movimento per averne piena contezza. La protesta non si spalma, non trova catalizzatori di consenso, trova piuttosto un leader che, a nostro avviso, non può andare oltre il risultato conseguito. Piuttosto, senza con ciò potere essere accusati di voli pindarici, diciamo che il risultato di protesta, quello che va oltre i partiti tradizionali, che nasce, scusateci la retorica, dal cuore della gente, è certamente quello conseguito da Leoluca Orlando.
Orlando ha coperto, in questa competizione, il ruolo che poteva coprire il movimento di protesta, aggiungendo allo stesso il di più della proposta e quel carisma personale che nessuno può negargli. Palermo ha percepito Orlando come l’antiregime, intercettando l’ansia di liberazione dal sistema, corrotto e corruttore, rappresentato dai partiti tradizionali, ma aggiungendo, e per la forma mentis del siciliano è importante, un rassicurante messaggio antirivoluzionario capace di convincere un elettorato che in maggioranza è moderato e che, storicamente, vede come fumo negli occhi eventuali tentazioni eversive.
Un mix, dunque, di vecchio e nuovo, sapientemente amministrato e proposto come offerta politica convincente. Saltando la riflessione sul centrodestra – fermandoci a dire solo che hanno sbagliato i candidati e la comunicazione di cui si sono serviti – passiamo subito a quella che avrebbero potuta essere la novità e che l’improvvisazione, l’ambizione personale del soggetto – di cui sono spia i comportamenti scomposti del dopo voto – unita all’immagine degradata di taluni suoi alleati, ha bruciato irrimediabilmente. Parliamo del Ferrandelli che, originariamente, era stato chiamato dai Movimenti civici, dimostratisi alla lunga inconsistenti, ai quali aveva risposto con uno strappo clamoroso che aveva avuto qualche positivo riscontro fra la gente.
Ferrandelli, però, quasi subito, si era lasciato irretire dai giochetti di potere della vecchia politica rappresentati soprattutto da esponenti del Partito democratico. La sua partecipazione alle contrastatissime e screditate primarie, l’avevano portato a consolidare un’alleanza che ha avuto l’effetto della cancellazione dei brandelli di idea di nuova di cui lo stesso si faceva portavoce. Nell’immaginario collettivo il personaggio, rispetto alla partenza iniziale, non è stato più percepito come quell’anti e, tuttavia, rassicurante che la gente aspettava, ma come l’espressione della continuità di un metodo considerato sbagliato.
La gente lo ha visto, ancora, come ostaggio di giochi di potere più grandi di lui, l’ha, in poche parole, considerato il “pupo” nelle mani di furbi pupari scaricandogli perfino colpe non sue. Il risultato, alla fine, non poteva che essere quello che ha registrato: un risultato modesto che dovrebbe, proprio sulla soglia del ballottaggio, per fargli salvare ruolo e prospettive, consigliarlo di non insistere più di tanto e di mettersi da parte, riconoscendo i propri errori. Scelta difficile, quest’ultima, riservata solo a leader di giusta grandezza.
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