Politica

La commissione Esame Ue all’Ars. Sunseri (M5s): «Fondi usati come bancomat elettorale» – Palazzi di vetro /3

Esame delle attività dell’Unione europea. Un nome vago, quello della commissione all’Assemblea regionale siciliana, che rispecchia il sentimento dei cittadini sul tema. Nonostante in realtà si occupi di uno degli aspetti più concreti che ci siano: i soldi. Arrivati e spesi – quasi sempre – dalla Regione, non sempre in modo altrettanto concreto. A presiederla in questa legislatura è Luigi Sunseri, deputato del Movimento 5 stelle al suo secondo mandato, che dell’economia ha sempre fatto il focus principale della sua attività parlamentare.
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Il nome della commissione è già di per sé un programma: abbastanza oscuro per il cittadino medio, così come sembra distante dalla quotidianità dei siciliani la stessa Unione europea. Che approccio ha la commissione al riguardo?
«Bruxelles è distante già geograficamente, così come l’istituzione è sempre stata percepita lontana dalla politica concreta. Però oggi è l’unica vera fonte di risorse per la Regione, e per questo occorre che ci si concentri di più su quanto fatto e nel rendere più appetibile l’argomento, che troppo spesso rimane concentrato sui numeri a discapito delle politiche di programmazione, di gestione delle risorse e della possibilità di individuare delle strategie. È chiaro che la politica, negli anni, ha percepito questa importanza e quindi sta dedicando al tema maggiore attenzione rispetto ad altri argomenti, anche in assemblea».

A proposito di fondi, di recente avete denunciato uno spreco di un miliardo di fondi statali. Ci sono insomma volte in cui i finanziamenti non vengono neanche intercettati e altre in cui non si riesce a spenderli. Da cosa dipende?
«Su questo, se posso permettermi, negli anni è stata raccontata una falsità. Si sente spesso che la Regione ha dovuto restituire a Bruxelles delle risorse ma in quasi tutte le programmazioni, dagli anni ’90 a oggi, all’ultimo momento è stato fatto il compitino, magari spostando su fondi europei un progetto pre-esistente. In questo momento, invece, abbiamo enormi difficoltà. Il primo dato riguarda il Fondo di sviluppo e coesione, un fondo statale con l’80 per cento delle risorse destinate al Mezzogiorno: la Sicilia era beneficiaria di 2,2 miliardi di euro e alla data ultima del 31 dicembre 2022 non è stato speso o impegnato un miliardo che adesso torna allo Stato centrale. Se passiamo alla programmazione europea, al momento la spesa certificata è del 50 per cento, quindi di due miliardi su quattro. Sono inefficienze con diverse cause: prima tra tutte, la gestione dei fondi come bancomat elettorale, utilizzati dal governo regionale per fare il favore a qualche sindaco promettendo il finanziamento di una piazza o un campetto, che poi magari neanche vengono realizzati. A questo poi si aggiunge la carenza di personale che segua davvero i progetti dallo stanziamento alla posa dell’ultima pietra. Questo la Regione non sa garantirlo neanche con i suoi enti strutturali: pensiamo alla zona industriale di Catania, tra le più grandi dell’Isola, in cui l’Irsap non ha speso neanche un centesimo per l’illuminazione o le strade. Come lo spieghiamo ad aziende quali Enel ed St Microelectronics che lì hanno investito milioni di euro?».

Ha accennato a un punto importante: la mancanza, lamentata specie dai Comuni più piccoli, di personale capace di intercettare i fondi, preparare la partecipazione ai bandi e gestirli. Sembra un cane che si morde la coda: le persone servono per trovare i soldi, ma senza i soldi non si possono assumere le persone. Dove si può spezzare questo circolo?
«Anche la Regione sconta le carenze di personale qualificato: siamo pieni di figure che svolgono lavori di portierato, ma non di dirigenti o funzionari che elaborano i progetti e li portano avanti. Su questo il presidente Schifani dovrebbe intervenire presto, perché l’ultimo accordo Stato-regioni blocca le assunzioni fino al 2035. Una follia, considerata l’altissima età media dei dipendenti regionali. Al contempo credo che serva una nuova classe dirigente, giovane e capace, che non entri per raccomandazione. E poi adesso c’è anche il Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr)… Ma se non siamo riusciti a spendere 4 miliardi europei negli ultimi sette anni, come dovremmo spenderne 20 nei prossimi due? Solo a raccontarla si capisce che non ci riusciremo ed è lì che la politica deve agire: con una cabina di regia e i trasferimenti ai Comuni per le assunzioni. Non di dipendenti da aggiungere a una macchina già piena di burocrazia, ma persone che permettano all’ente di immaginare e progettare un percorso, quindi ingegneri, architetti, tecnici contabili. Tutto quello che serve per gestire queste risorse e realizzare quello che finora è stato solo raccontato in campagna elettorale».

Al Pnrr ci arriviamo, ma prima tornerei su un punto: lei diceva che, alla fine, questi fondi siamo sempre riusciti a spenderli in qualche modo. Non sempre, insomma, secondo le necessità dei territori. Forse uno dei vizi peggiori della politica, che risulta poi poco credibile agli occhi dei cittadini.
«Credo che la politica in questo abbia sbagliato tutto. Un commissario europeo, anni fa, diceva che i fondi europei vanno spesi tutti, ma soprattutto vanno spesi bene. Perché se continuiamo a essere la regione che riceve più risorse dall’Europa un motivo c’è ed è legato al fatto che siamo nettamente arretrati…».

Eppure il risultato di tutti quei fondi non si vede…
«No, perché appunto vengono usati per altre cose pur di spenderli. La programmazione serve a immaginare un percorso. Per fare un esempio, un presidente della Regione che voglia dare nuovo slancio allo sport in Sicilia dovrà chiamare tutti i sindaci e fare un piano di potenziamento dei campi di calcio e delle strutture polivalenti, dare una nuova rete infrastrutturale nei territori che stanno subendo uno spopolamento giovanile. Insomma, focalizzare gli investimenti in quello che si ritiene strategico per la Sicilia: che sia lo sport, il turismo, la riqualificazione urbana, l’efficientamento dell’illuminazione pubblica. Senza questo, le risorse vengono sì spese, ma non ne abbiamo neanche contezza. Se chiedessi a un cittadino di dirmi un’opera realizzata con fondi Ue, probabilmente non mi saprebbe rispondere».

Mi pare un problema che rimane anche con il Pnrr: tanti soldi, ma anche tanti progetti da proporre e concludere velocemente, anche a costo di un pizzico di superficialità. È un pregiudizio?
«Il Pnrr è davvero un’occasione unica perché la nostra Regione non ha più fondi per gli investimenti. Questo però non si deve trasformare in una spesa casuale o per cose che non sapremo gestire. Su questo credo serva una profonda riflessione, ma c’è poco tempo e la Regione ha già dato prova di incapacità con i fondi per le reti idriche: quando abbiamo perso quasi 600 milioni di euro, presentando 62 progetti di cui metà non è andata nemmeno a valutazione e l’altra metà è stata bocciata. Abbiamo insomma dimostrato di non essere in grado di usare queste risorse nemmeno per le cose che più ci servono. Noi su questo stiamo facendo un focus particolare, perché dobbiamo provare a immaginare una cabina di regia centralizzata che possa individuare le linee guida e farlo nel più breve tempo possibile».

C’è poi il problema dei controlli. Lei citava Enel a Catania: proprio durante l’inaugurazione del nuovo cantiere, una collega straniera chiedeva al presidente della Regione Renato Schifani come evitare le infiltrazioni mafiose nel Pnrr. Non ha ricevuto risposta, ma il problema è serio: ve lo siete posto?
«L’augurio è che la criminalità organizzata ne rimanga fuori, ma il timore è che purtroppo invece ci rientri. Serve maggiore attenzione da parte delle forze dell’ordine, per non arrivare dopo ma quantomeno durante. E serve più attenzione anche da parte del parlamento regionale: nel denunciare anche agli organi di stampa e nel garantire la massima trasparenza con gare pubbliche in cui sia possibile verificare chi partecipa e chi no. Purtroppo nel corso degli anni tutto questo non è successo».

Ma in tutto ciò la commissione cosa può fare su questi temi?
«Quello che stiamo facendo è un monitoraggio continuo su tutti i fondi extraregionali per provare a capire come sono stati spesi, dove sono i ritardi e a chi sono imputabili. In questi mesi ci siamo insomma concentrati su quanto e come è stato fatto, ma nelle prossime settimane puntiamo a occuparci della nuova programmazione 2021-2027. Che poi dire nuova sembra quasi normale, ma siamo già al 2023 e di nuovo non dovrebbe esserci nulla».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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