Le pene per Giuseppe Vizzini e i figli - accusati di aver piazzato l'ordigno nell'auto di Quattropani - sono state decise nell'udienza di ieri. Nelle intercettazioni parlano del cronista ma davanti al Gip il padre spiega i riferimenti smentendo gli intenti di ammazzarlo
Pachino, i Vizzini condannati per bomba carta all’avvocata Nell’interrogatorio negato il progetto di uccidere Borrometi
Sono stati condannati in Appello con il rito abbreviato Giuseppe Vizzini (detto Peppe Marcuotto), e i suoi figli Simone e Andrea. I tre sono ritenuti responsabili di avere messo una bomba carta sotto l’autovettura dell’avvocata Adriana Quattropani a Pachino, in provincia di Siracusa, il 29 dicembre del 2017. Il giudice ha deciso una pena di 4 anni e 4 mesi per Giuseppe, 4 anni per Simone e 3 anni e 10 mesi per Andrea. A essere arrestato insieme a loro, nell’aprile scorso, era stato anche uno dei tre fratelli Aprile, Giovanni, che si era costituito dopo alcune ore in cui era stato irreperibile. Scarcerato una ventina di giorni dopo, per lui l’accusa era quella di aver comprato l’accendino utilizzato per provocare l’esplosione dell’ordigno.
I reati contestati sono detenzione e porto illegale di un ordigno esplosivo, danneggiamento aggravato e minaccia e violenza a pubblico ufficiale, questi ultimi due con l’aggravante mafiosa. Dietro l’azione dei Vizzini nei confronti dell’avvocata Quattropani ci sarebbe il suo ruolo di curatrice fallimentare del distributore di carburante gestito dalla ditta guidata dalla moglie di Giuseppe Vizzini, Franca Corvo (che, nella seconda metà degli anni Duemila, è stata anche assessora comunale a Pachino). A Vizzini padre, inoltre, viene contestato il reato di minaccia e violenza all’avvocata – aggravato dalla modalità mafiosa – per un fatto accaduto a febbraio dello scorso anno quando, invitandola a interrompere la procedura fallimentare, l’avrebbe intimidita ricordandole l’uccisione del cognato per un regolamento di conti.
Nel corso delle indagini, gli investigatori hanno raccolto intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno permesso di ricostruire non solo la dinamica precedente all’esplosione ma anche il tessuto criminale e la vicinanza a Salvatore Giuliano, il boss dell’omonimo clan attivo soprattutto nei territori di Pachino e Portopalo di Capo Passero. Vizzini sarebbe legato a Giuliano anche da rapporti imprenditoriali tramite l’azienda agricola La Fenice, attiva dal 2013 nel settore della produzione ortofrutticola, e recentemente espulsa dal Consorzio di tutela del pomodoro di Pachino Igp.
Alcune delle intercettazioni di questa indagine sono divenute famose perché viene tirato in ballo anche Paolo Borrometi, il giornalista de La Spia. «Stu lurdu», lo appella Giuseppe Vizzini durante una conversazione intercettata l’8 gennaio, mentre parla con Giuliano che risponde: «Lo so, ma questo, ma che cazzo di […] è, ma perché non si ammazza, ma fallo ammazzare, ma che cazzo ti interessa».
Nel verbale di interrogatorio fatto all’indomani dell’arresto nell’aprile scorso, davanti alla gip Giuliana Sammartino, Marcuotto rilascia dichiarazioni spontanee e prova a spiegare come dietro a quelle parole non ci sia l’intento né il progetto di uccidere il cronista, come viene ricostruito invece dalla gip. «Ho denunciato Borrometi per le accuse contro di me […] per quello che aveva pubblicato sul mio conto. Giuliano mi diceva di lasciarlo stare, non di ammazzarlo». E a precisa domanda della giudice risponde: «A Giuliano io gli ho detto: “Perché non l’ammazziamo?” lo? Impossibile». In realtà è proprio Giuliano che pronuncia le parole «ma fallo ammazzare». La giudice quindi corregge il tiro e chiede a Vizzini di spiegare quelle frasi. «Ma fallo ammazzare a lui, nel senso: “Fregatane”. Ma che sono in grado di ammazzare una persona?», risponde.
Quando poi gli viene chiesto il motivo del suo interesse nei confronti del cronista afferma: «Ma se io l’ho denunciato. Ma c’è un organo che a questo magari… ma cosa sta scrivendo? lo mi riferisco all’organo competente, che è la polizia, che può fare una indagine. Già questo sa quello che deve succedere, tra dieci giorni già la pubblica».
In un’altra intercettazione datata 22 febbraio (giorno in cui viene sospeso il bar Scacco Matto, di proprietà del figlio del consigliere Salvatore Spataro – quest’ultimo indagato con l’accusa di essere affiliato al clan Giuliano – in cui una decina di giorni prima hanno sparato a uno dei fratelli Aprile, Giuseppe) la famiglia Vizzini torna a parlare di Borrometi. «Oramai viene qua e vi dice cosa dovete fare – dice Giuseppe Vizzini riferendosi a quella che lui ritiene la posizione subordinata della polizia rispetto a Borrometi – Picca n’avi (poco ne ha, ndr). Ti devi solo vergognare. Ormai siamo attaccati da un giornalista… droga, estorsione, mafia, clan, quello, l’altro».
Una seconda conversazione si svolge più tardi, mentre tutti sono seduti a tavola per la cena. «Se sballa…se sballa… – dice sempre Vizzini, commentando alcune parole di Giuliano – che deve succedere… Succederà l’inferno! Casa affittata a Pozzallo, quindici giorni, via, mattanza per tutti e se ne vanno». Dopo una parte omissata di undici secondi, è la moglie di Vizzini a fare riferimento al giornalista: «Perché non se lo vanno a riscogliere?». «Ora vediamo se va alla questura», risponde il marito facendo il verso della sirena.
A proseguire il discorso è il figlio Simone che se la prende con la polizia: «Questi di Pachino, la polizia, sai come sono messi […] Cosa di pigliare una bomba e abbiariccilla (buttargliela, ndr) […] Scendono una decina, una cinquina, cinque sei catanesi, macchine rubate, una casa in campagna. La sera appena si fanno trovare, escono.. dobbiamo colpire a quello! Bum, a terra! Devi colpire a questo, bum, a terra! E qua c’è u iocufocu (fuoco d’artificio, ndr) come c’era negli anni ’90, in cui non si poteva camminare neanche a piedi». Intercettazioni che secondo la Gip testimonierebbero il progetto di Giuliano, «forte dei suoi legami con i Cappello di Catania», di «eliminare lo scomodo giornalista» attraverso «un’eclatante azione omicidiaria».
È ancora Giuseppe Vizzini a chiudere la conversazione riportando altre parole di Giuliano: «Mi disse: “Lo sai che ti dico, Peppe? Ogni tanto un murticeddu (morto, ndr), vedi che serve! Per dare una calmata a tutti! Così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli, tutti mafiosi, malati di mafia“». Davanti al Gip Vizzini prova a giustificare queste frasi come semplici «esternazioni». Per altre minacce a Borrometi, precedenti a quelle oggetto di questa indagine, è in corso a Siracusa un processo che vede imputati Salvatore Giuliano e il figlio Gabriele.