Obiettivo: salvare a nostra Costituzione dalla stupidità del Parlamento di ‘nominati’

PERCHE’, OGGI, E’ PIU’ CHE MAI NECESSARIO MOBILITARSI IN DIFESA DELLA NOSTRA CARTA FONDATIVA

L’interessante intervista del professore Stefano Rodotà a ‘Controlacrisi’, quotidiano on line presenta un punto di vista notevole per capire il travaglio cui è sottoposta la nostra Carta costituzionale e le ragioni che debbono mobilitare l’attenzione della pubblica opinione al sostegno della validità e l’attualità dell’Atto fondativo della nostra Repubblica.

“Stiamo vivendo il grado zero della politica – afferma Rodotà – e in questo vuoto di politica rischia di precipitare la società italiana”. Come si fa a dare torto al professore Rodotà? L’esempio più evidente è l’idiozia manifestata dall’intero Parlamento italiano. Appena un anno e mezzo addietro quando, in quattro e quattr’otto ha modificato l’articolo 81 della Carta, introducendo l’obbligo del pareggio di bilancio. Questa condizione obbligatoria ha tarpato ogni possibilità discrezionale alla politica ed ha affidato al nostro Parlamento la sola facoltà di eseguire con criteri ragionieristici le opzioni progettuali propri della Politica. Non considerando nemmeno l’assurdità di questo vincolo se applicato a qualsiasi attività aziendale. E’ come se una qualsiasi azienda dovesse funzionare senza potere utilizzare le linee di credito bancario, ma dovesse operare soltanto con le potenzialità finanziarie che le derivano dalla propria attività. Un’azienda con questi vincoli non potrebbe procedere ad investimenti per potenziare o innovare le sue produzioni. Ovvero, avrebbe solo l’opportunità di ricorrere all’aumento del capitale aziendale. Operazione che in materia statale corrisponde all’aumento del prelievo fiscale.

Ebbene, di questo abbaglio la stragrande maggioranza di quel migliaio di componenti il nostro Parlamento si è riparato e questa norma è stata introdotta nel nostro ordinamento, vincolando le potenzialità politiche e di manovra economica del governo, con le conseguenze drammaticamente presenti nell’azione dell’attuale governo.

Ovvero, l’altra operazione di degrado della politica è rappresentata dalla deroga alle procedure di riforma costituzionale prevista nell’articolo 138. In altri termini, avendo realizzato per via ordinaria la vanificazione di alcuni capisaldi costituzionali, adesso è giunto il momento di codificarli assumendoli nella Carta fondamentale. Quindi, non solo attraverso i trattati internazionali sono state apportate modifiche alla Costituzione per il fatto che i trattati, ove contrastanti con i principi costituzionali ne determinano la sostanziale soppressione (vedi a questo proposito il trattato di Londra del 1947 ed il trattato bilaterale Usa-Italia del 1954, attraverso i quali la Repubblica italiana è stata dichiarata a sovranità limitata).

L’aspetto più grave di questa stagione costituzionale è che da nessuna parte si è avanzata la proposta di procedere alla radicale modifica degli aspetti più evidenti tra i vincoli introdotti all’origine della sua stesura, avvenuta in un contesto storico particolarmente delicato dell’immediato dopoguerra e nella immediata sconfitta del fascismo. Vincoli e procedure che in quel contesto avevano ragione di esistere. Oggi quei vincoli possono ritenersi realmente anacronistici (bicameralismo paritario) e culturalmente superati (Presidente del Consiglio dei ministri, primus inter pares, con funzioni di coordinamento e non di direzione) o l’ampiezza della rappresentanza popolare (numero largo dei parlamentari), oppure la rappresentanza degli organi di autogoverno territoriale che a quel tempo non esistevano.

L’operazione in atto, affidata ad un comitato di esperti è una forzatura che tende sempre più ad escludere la partecipazione popolare dalla vicenda costituzionale come se quella Carta non appartenesse al popolo, ma fosse esclusivo appannaggio degli esperti e di una altrettanto elitaria selezione parlamentare. Questa opzione fa a pugni con la concezione progressiva dell’allargamento degli spazi di democrazia quali sarebbero stati garantiti se al posto del comitato di esperti si fosse ricorso alla elezione di un’apposita assemblea costituente ed affidare ad una qualificata rappresentanza polare l’aggiornamento costituzionale. Ed attraverso questo metodo avere la possibilità di introdurre nel nostro sistema costituzionale la facoltà popolare di ratificare i trattati internazionali. In atto potestà esclusiva del Parlamento, in quanto è escluso dall’articolo 75 il referendum popolare per la ratifica dei trattati internazionali (perchè?).

Nell’intervista di Stefano Rodotà a ‘Controlacrisi’ c’è un altro aspetto significativo che si collega alle questioni costituzionali e all’appuntamento con la manifestazione del 12 ottobre prossimo, cioè l’altalena mediante la quale le fasi storiche hanno visto l’affermarsi e poi il fermarsi della funzione progressiva insita sia nello spirito che nella lettera della Carta costituzionale. Rodotà ricorda che dopo la sua approvazione essa venne sostanzialmente messa da canto e che fu negli anni 60 che venne scongelata per merito di Leopoldo Elia ed in forza di quel risveglio sono venuti il divorzio, lo Statuto dei diritti dei Lavoratori, fra le novità più rilevanti. E poi negli anni ‘70 vennero la parità di genere, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia, sempre per restare agli aspetti più rilevanti del rinnovamento della società italiana e all’interpretazione dinamica e avanzata della Costituzione.

Rodotà tralascia di ricordare, a questo proposito, che, senza volere togliere alcun merito al senatore Elia, le innovazioni introdotte in quella fase erano conseguenza dei grandi movimenti popolari che segnarono quella stagione politica. Il ‘68 di “operai e studenti uniti nella lotta”, le grandi lotte sindacali del ‘69: “lotta dure senza paura per le riforme di struttura”, la cui carica innovativa non poteva essere ‘sopportata dall’Italia a sovranità limitata’ e quindi quel grande movimento progressista doveva essere ricacciato e neutralizzato. Fu proprio in quest’ottica che vennero fuori (non si è mai saputo da dove!) le Brigate Rosse e il terrorismo di Stato.

Da allora la spinta innovativa della Carta costituzionale fu ricacciata in frigorifero (ricordate le leggi speciali sul terrorismo?) e fu proprio Bettino Craxi che definì la Costituzione un ferro vecchio. Ed è da allora che si sono succeduti numerosi tentativi di riforma costituzionale attraverso le ripetute ed inconcludenti commissioni bicamerali.

Se possiamo permetterci un timido suggerimento al movimento che fa capo a Baldassare, Landini, Rodotà e Zagleberski piuttosto che impostare una lotta di resistenza all’attacco portato alla Costituzione, operazione nobile ma riservata alle avanguardie, sarebbe necessario avanzare proposte di modifica che portano in avanti le libertà democratiche della società nazionale, che toccano gli interessi personali della dignità di cittadino di ognuno dei 60 milioni di italiani ed incalzare la politica attraverso grandi movimenti popolari.

In questa piattaforma la rivendicazione del referendum popolare per la ratifica dei trattati internazionali, oltre a rendere ogni cittadino protagonista e responsabile delle scelte di politica estera dello Stato italiano, diventa un obiettivo mobilitante di massa e rappresenterebbe comunque un deterrente nei confronti dei nostri governanti che li rafforzerebbe nei negoziati internazionali ed in Sicilia farebbe immediatamente giustizia all’abuso dell’installazione in contrada Ulmo di Niscemi del Muos e delle sue letali antenne di rilevamento satellitare. Mentre oggi siamo legati ai cambiamenti di opinione (o umorali?) di Rosario Crocetta.


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