La vicenda si era scatenata dopo le esternazioni dell'uomo sulla decisione, presa nel 2018, di cancellare dall'albo prefettizio la sua associazione antiracket LiberoFuturo. «Dopo tante vicende sconfortanti, finalmente una buona notizia»
«Non diffamò la prefetta», prosciolto Colajanni «È stato riconosciuto il mio diritto di critica»
«Prosciolto». Questa la decisione del gup del tribunale di Palermo Marco Gaeta, che durante l’udienza di ieri ha deciso per il non luogo a procedere nei confronti di Enrico Colajanni. L’ex presidente dell’associazione antiracket LiberoFuturo era stato denunciato dalla prefetta di Palermo Antonella De Miro per diffamazione. Denuncia raccolta dalla Procura, secondo cui Colajanni «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso» avrebbe offeso «l’onore e il decoro» della prefetta. Questa l’accusa formulata mesi fa, seguita dall’udienza fissata davanti al giudice.
Lo stesso che «probabilmente ha riconosciuto il mio diritto di critica», commenta Colajanni sui social, comunicando la notizia del suo proscioglimento. «Ma dobbiamo attendere per le motivazioni – aggiunge -. Dopo tante vicende sconfortanti che hanno colpito gravemente me e tutti i colleghi di LiberoFuturo e delle altre nostre associazioni, finalmente una notizia positiva». L’ex presidente ha sempre ipotizzato di aver pagato, in un certo senso, il fatto di aver pronunciato pubblicamente dure esternazioni nei confronti della prefetta, che nel luglio 2018 aveva deciso di depennare dall’elenco prefettizio la sua associazione antiracket. Una decisione, quella del depennamento, basata per lo più su sospetti, secondo Colajanni, uno fra tutti quello che l’associazione abbia assistito alcuni imprenditori dal curriculum non illibato. Malgrado nessuna delle persone seguite fino ad oggi nelle denunce e nei processi abbia mai subito indagini di alcun tipo o processi, a detta dell’ex leader.
«Abbiamo alzato il dito e la voce contro certe storture e questo non ci viene perdonato. Veniamo considerati anticostituzionali, ma pensiamo che non si possa fare la lotta alla mafia senza alzare la voce. Questa è la mia interpretazione di questa triste storia», dichiarava quasi un anno fa Colajanni, che mesi dopo la decisione della prefettura aveva intrapreso un lungo periodo di sciopero della fame. Storture, quelle a cui alludeva all’epoca, legate a quelli che definisce i «problemi dell’antimafia», dal sistema Montante a quello, addirittura precedente, del sistema Saguto, in cui si incastra anche la parabola mediatica e giudiziaria del giornalista di Telejato Pino Maniaci. «Cose terribili, ma qualcuno sembra preferire che non se ne parli affatto o, se proprio si deve, il meno possibile. Chi questi fatti li ha denunciati, criticati e contestati aspramente oggi ne vede le conseguenze». Successivamente, Colajanni è stato anche ascoltato dalla Commissione antimafia.
Esternazioni che lo avrebbero portato dritto alla reazione forte della prefetta, che lo ha denunciato trovando l’accoglimento della Procura. Secondo la quale Colajanni avrebbe cercato di instillare «nell’opinione pubblica l’idea che il provvedimento di cancellazione dell’associazione, lungi dall’essere sorretto da mere ragioni tecnico-giuridiche, fosse in realtà motivato dall’intenzione di osteggiare sia coloro che nel tempo avevano criticato l’operato delle istituzioni, sia le associazioni antimafia, induceva a ritenere che nell’emettere tale provvedimento il prefetto avesse voluto perseguire finalità estranee ai propri compiti istituzionali». Con le aggravanti di «avere arrecato offesa, attribuendo un fatto determinato, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità e di avere arrecato offesa a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o a una sua rappresentanza». Una ricostruzione che, però, non ha convinto il gup Gaeta.