Nomina della Monterosso all’esame della Corte dei Conti Crocetta e Lombardo si difendono, si attende la sentenza

Per sapere se l’incarico di segretario generale della Regione ricoperto da Patrizia Monterosso per cinque anni sia stato illegittimo bisognerà attendere almeno un paio di mesi. Ieri c’è stato il penultimo atto del procedimento davanti alla Corte dei Conti di Palermo, in cui viene contestato ai due ultimi governatori, Rosario Crocetta e Raffaele Lombardo, e ai loro assessori un danno erariale a carico della Regione di 894mila euro. Adesso la decisione spetta al giudice contabile che, per legge, ha 60 giorni di tempo per esprimersi.

Una sentenza attesa visto il ruolo nevralgico svolto da Monterosso all’interno dei palazzi della Regione. Il procedimento della Procura della Corte dei Conti nasce a seguito di numerose segnalazioni, in particolare di un’articolata denuncia del sindacato dei dirigenti regionali Dirsi che evidenziava numerose illegittimità. Elementi che il procuratore Gianluca Albo ha puntualmente riscontrato. Secondo l’accusa, infatti, Monterosso non sarebbe dovuta essere nominata essenzialmente per due ragioni: mancava dei requisiti adatti e la ricerca per quel ruolo avrebbe dovuto prendere in più attento esame le risorse già interne all’amministrazione regionale.

Per questo sono stati citati in giudizio, oltre a Crocetta e Lombardo, anche Alessandro Aricò, Accursio Gallo, Giuseppe Spampinato, Daniele Tranchida, Amleto Trigilio, Marco Venturi (assessori di Lombardo), Mariella Lo Bello, Vania Contrafatto, Giovanni Pistorio, Bruno Marziano, Baldo Gucciardi e Luisa Lantieri (assessori di Crocetta). Alla giunta Lombardo è contestato un danno erariale di 680mila euro (all’ex governatore 340mila, ai suoi assessori 57mila euro l’uno); alla giunta Crocetta 213mila euro, di cui 106mila all’ex presidente e 17.750 euro ciascuno agli assessori.

Secondo la Procura, il primo motivo di illegittimità della nomina di Monterosso è la sua mancanza di requisiti. Nella prima delibera di nomina, quella firmata Lombardo, si legge che «la particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, non disgiunta da comprovata esperienza degli apparati istituzionali regionali, nazionali e comunitari, è rinvenibile in capo alla dottoressa Monterosso in base alla formazione universitaria, lavoro a tempo indeterminato presso il Miur».

Un punto su cui la Procura affonda il colpo: «Monterosso risultava laureata in Filosofia, aveva acquisito un dottorato di ricerca in Filosofia con la dissertazione finale dal titolo: “L’esigenza di una comune gnoseologia in filosofie eterogenee: Adorno e Prigogine” e successivamente aveva ricevuto un assegno di ricerca per una ricerca dal titolo: “La teoria della complessità negli aspetti etico-sociologici della problematica uomo-ambiente”. Non si dubita – sottolinea il procuratore – sul valore tecnico di settore di tali elaborati, ma indubbia risulta l’oggettiva non inerenza con il settore tecnico amministrativo dell’incarico».

E ancora, sul contratto al Miur: «Ancor meno comprensibile la valorizzazione dell’incarico a tempo indeterminato presso il Miur, che si risolve in un’assunzione nel ruolo di docente di scuola primaria (maestra elementare), siciliana». D’altronde appena due anni prima la stessa giunta Lombardo aveva revocato proprio alla Monterosso un altro incarico, quello di dirigente generale, proprio per mancanza di requisiti. «La contraddizione tra due provvedimenti della medesima amministrazione – si legge nella citazione in giudizio – è così singolare da suscitare un istintivo interrogativo sulla ipotetica possibilità di generare atti amministrativi connotati da insanabile contrasto logico-giuridico».

Stesso quadro si ripresenta quattro anni dopo, quando è Crocetta a rinnovarle l’incarico. «Era cambiato qualcosa in quegli anni?», si chiede la procura. Sì, in realtà in peggio. «Non risultano titoli culturali o professionali valorizzabili, tali non potendosi ritenere – sottolinea con ironia la Procura – una condanna per colpa grave a 1,3 milioni di euro per danno erariale alla Regione nella qualità di dirigente generale della formazione professionale».

Nell’udienza di ieri il procuratore Albo ha a lungo dibattuto con i legali dei politici, anche con toni accesi. La discussione si è incentrata soprattutto sull’applicabilità della legge Brunetta anche in Sicilia. La norma, introdotta nel 2009, segna una rigorosa stretta nella possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere a soggetti esterni per incarichi dirigenziali. Secondo alcuni legali l’applicabilità in Sicilia non è totale. E in particolare escluderebbe dalla ricerca tra le risorse interne i dirigenti di terza fascia, cioè quella più bassa. In sostanza, è la tesi delle difese, Crocetta e Lombardo hanno agito correttamente limitandosi a cercare solo tra dirigenti di prima e seconda fascia (posizioni ormai ridotte all’osso nella pianta organica della Regione) un candidato ideale per il ruolo di segretario generale. E a supporto di questa osservazione, l’avvocato Alessandro Dagnino, legale di Crocetta, richiama la sentenza del Tar del 2014. Il tribunale amministrativo, chiamato proprio a esprimersi sulla nomina della Monterosso, la dichiarò legittima perché i dirigenti di terza fascia non potevano essere chiamati a ricoprire quell’incarico.

Da qui la richiesta dell’avvocato, almeno limitatamente all’ultima delibera, quella del 2016 succesiva al Tar: anche qualora venisse riconosciuto che i criteri per la contestata nomina oggi non sarebbero più validi, non attribuire il difetto di colpa a Crocetta e alla sua giunta, e quindi assolverli. Fissando allo stesso tempo un punto chiaro sulla vicenda: da adesso in poi così non si può fare. Ma solo per il futuro.

Salvo Catalano

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