Nokia Siemens, dipendenti in agitazione «Licenziano qui, assumono in Portogallo»

Trentasette anni, sposato, laureato in Ingegneria, nella stessa azienda da 13 anni, catanese. I lavoratori del gruppo Nokia Siemens networks che rischiano il licenziamento hanno tutti un profilo simile a quello di Antonio Altana. Lui è il rappresentante sindacale Fiom-Cgil della sede di Catania della multinazionale delle telecomunicazioni che lo scorso lunedì ha annunciato con una lettera l’avvio della procedura di mobilità per 445 dipendenti in tutta Italia. In Sicilia questo si traduce in esuberi del 100 per cento. Cioè 31 persone nel capoluogo etneo – a cui bisogna aggiungerne quattro della sede di Palermo chiusa a febbraio – senza un lavoro tra due mesi e mezzo, allo scadere dei limiti temporali imposti dalla legge.

«Dopo la laurea ho lavorato per un po’ per un’azienda locale, poi sono entrato in quella che all’epoca era solo Nokia. Era il 1999», racconta Altana, all’indomani delle otto ore di sciopero di venerdì, con tanto di sit-in davanti alla prefettura in via Etnea e incontro con il vice-prefetto. «Prima mi sono occupato di sviluppo software, adesso lavoro nelle prevendite dei nostri servizi ai vari operatori di telefonia mobile». Lo stabilimento Nokia Siemens, sull’Isola, lavora con le stazioni radio base. Per intenderci, i ripetitori del segnale dei cellulari. «Ciascuna di queste stazioni ha alle spalle una serie di software per la tariffazione, l’invio e la ricezione di sms, le chiamate e la connessione dati…». Lui prima li ha progettati, poi è passato a venderli. «Nel 2007, la Nokia e la Siemens hanno dato vita alla Nokia Siemens networks», che all’epoca nella Penisola contava oltre 3000 dipendenti e adesso è scesa a poco più di 1100. «La colpa, come sempre in questi casi, è della concorrenza degli altri fornitori – spiega il sindacalista – Quelli più duri sono i cinesi».

Il colosso comincia ad accusare il colpo, le perdite a fine anno sono tante. A novembre 2011 arriva l’annuncio: personale tagliato del 30 per cento in tutto il mondo, «una cosa come 17mila persone in totale». Tra loro i 31 dipendenti alle pendici dell’Etna, ritenuti sacrificabili. «Oltre a noi, naturalmente, c’è l’indotto, cioè le aziende esterne che ci forniscono servizi: sono un’altra quindicina di persone». Le due receptionist, per esempio, «sono da considerarsi licenziate a partire dal 31 luglio». Antonio Altana e i suoi colleghi non si aspettavano di rischiare di finire in mezzo alla strada da un giorno all’altro: «Nokia Siemens aveva investito in noi a dicembre – dice – Per risparmiare dovevamo rimpicciolire gli spazi, stare tutti su un unico piano invece che su due». Per farlo, però, bisognava ristrutturare una sede in affitto, spostare apparecchiature, rifare interi impianti: «L’hanno fatto senza battere ciglio, spendendo parecchio».

In più c’è la questione dell’essere una punta di diamante per tutto il gruppo: «In relazione alle consulenze, siamo indubbiamente un centro d’eccellenza». A dimostrarlo c’è il progetto Talent, «che è una cosa interna al network». Funziona così: i dipendenti migliori in tutto il mondo, più o meno l’uno per cento del complesso, vengono selezionati ed entrano a far parte di un progetto speciale di formazione. Fanno corsi specifici, girano gli uffici dislocati nel pianeta, affiancano i più influenti manager. «Per due o tre anni, l’azienda investe sulla loro crescita, per sfruttare al massimo le loro potenzialità». A Catania ce n’erano tre. «Si sono impegnati per migliorarli e adesso li cacciano». Per assumere nuove persone, con uguali competenze, da qualche altra parte. «Pubblicano le offerte di lavoro sul sito: stanno assumendo in Portogallo le stesse identiche professionalità che qui licenziano». Le ragioni, essenzialmente, sono tre: «In Portogallo uno sviluppatore, per esempio, costa meno che in Italia; lì ci sono più agevolazioni fiscali; il top management europeo in questo momento è composto da portoghesi». E gli italiani non hanno abbastanza potere per impedire scelte aziendali a così alti livelli.

Nokia Siemens, dal canto suo, «non ha voluto trattare: non hanno incontrato il ministero, non hanno incontrato la Regione Sicilia, sono volutamente sordi». «Chiudere l’intero stabilimento da noi è un’ingiustizia – si accalora Altana – Lavoriamo con tutt’Europa, durante le nostre giornate in ufficio siamo costantemente connessi con Germania, Gran Bretagna, Francia… Per fare bene ci bastano un computer e una connessione a internet, ed essere a Catania o Roma o Milano non fa differenza». Non importa nemmeno che loro non siano poi pagati particolarmente bene: «I nostri colleghi teutonici percepiscono circa il doppio di quanto percepiamo noi e sono ancora là». Per farli andare via con più calma, il gruppo ha proposto ai dipendenti alcuni «pacchetti» come buonuscita: «È una specie di esodo incentivato: se firmiamo le nostre dimissioni e una liberatoria nella quale dichiariamo di rinunciare a qualunque pretesa nei confronti dell’azienda, ci pagano dalle 12 alle 20 mensilità, oltre al trattamento di fine rapporto». Un po’ come la conciliazione imposta da Wind Jet ai suoi.

«Qualcuno di noi sta pensando di accettare – confessa Antonio Altana – Sono single, laureati che parlano due o tre lingue, persone che stanno meditando di lasciare la Sicilia o l’Italia». A loro quei soldi farebbero comodo. Lui ad andarsene non ci pensa neanche: «Mia moglie è un dipendente pubblico nel Catanese e io sono molto legato alla mia terra». La speranza è che Nokia Siemens networks ripensi alla sua decisione, «magari razionalizzando le spese, affittando una sede più piccola e chiedendo una sponsorizzazione regionale». «Vogliamo che tentino qualcosa per minimizzare il problema – conclude – Le persone non possono essere considerate una fonte di risparmio».

[Foto di kiwanja]


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La multinazionale delle telecomunicazioni sembra non avere alcuna intenzione di rivedere la decisione di chiudere la sua sede di Catania, l'ultima rimasta in Sicilia, dopo quella di Palermo smantellata a febbraio. Ma i 31 lavoratori a rischio disoccupazione non ci stanno: «Siamo un polo d'eccellenza, non costiamo granché e non vogliamo nessuna buonuscita», dice Antonio Altana, ingegnere neanche quarantenne adesso in mobilità

La multinazionale delle telecomunicazioni sembra non avere alcuna intenzione di rivedere la decisione di chiudere la sua sede di Catania, l'ultima rimasta in Sicilia, dopo quella di Palermo smantellata a febbraio. Ma i 31 lavoratori a rischio disoccupazione non ci stanno: «Siamo un polo d'eccellenza, non costiamo granché e non vogliamo nessuna buonuscita», dice Antonio Altana, ingegnere neanche quarantenne adesso in mobilità

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