Nina the cat, quattro musicisti e un gatto British sound e sicula difficoltà dei live

Si chiamano Giulio Alescio, Riccardo Trinaistich, Alfredo Marcantonio, Roberto Scarinzi e sono rispettivamente la chitarra, il basso, la batteria e la voce dei Nina the cat, band di genere indie rock/alternative nata a Catania all’inizio del 2012. Li incontriamo in occasione dell’uscita del loro primo video musicale Underwood per la regia di Marco Pirrello e ci raccontano il gusto di fare musica autoprodotta ma anche le difficoltà di darsi da fare in «una città che non rappresenta più il fervore dei concerti live», spiega il bassista. Un progetto giovane quello dei Nina the cat ma ricco di entusiasmo e affiatamento tra i vari componenti del gruppo: trentenni, nella vita lavorano in banca o in palestra, sono grafici e informatici. Con brani inediti in lingua inglese e una sonorità che oscilla tra il post-punk dei The Cure e l’alternative rock britannico dei Placebo. Otto inediti nel cassetto, una demo di quattro brani work in progress, un video musicale visibile su Vimeo e tanta voglia di concerti live nonostante le poche offerte della città.

Come è nata la vostra band e perché vi chiamate Nina the cat?
Riccardo: «Siamo tutti musicisti di lunga data e prima ancora siamo amanti della musica. L’idea del gruppo è partita da Roberto, che ha poi attirato gli altri. E’ come se si fossero incastrati i vari tasselli di un puzzle. Alcuni di noi uscivano da esperienze musicali con altre band, tutti comunque ci conoscevamo da tempo non solo musicalmente».
Giulio: «La storia del nome è curiosa e sì, c’entra un gatto, anzi due. C’è una band americana, i Primes che ammiriamo molto. Una loro canzone si intitola Tommy the cat. Il nostro primo batterista aveva un gatto di nome Nina, in onore della cantante dei Cardigans, che era sempre presente alle nostre più importanti fasi creative. Abbiamo così deciso di chiamarci Nina the cat, in onore di Nina il gatto, la nostra mascotte appunto».

Tolti i panni dei musicisti, di cosa vi occupate nella vita?
Giulio: «Diciamo che siamo fuori dagli schemi della classica boyband, abbiamo tutti un lavoro regolare e un’età non più giovanissima. Io ho trentuno anni, una laurea in giurisprudenza e un lavoro in banca. Roberto, il nostro paroliere, ha ventotto anni ed è grafico pubblicitario. Riccardo, il bassista, trent’anni, è sviluppatore informatico. Alfredo, anche lui trentuno anni, è istruttore di guida e personal trainer in una palestra».
Riccardo: «Ci occupiamo di musica da tanto tempo e sogniamo di continuare a farlo e magari di riuscire a vivere proprio di essa. Ma questa è probabilmente un’utopia e di questi tempi si cammina con i piedi per terra; di sicuro ci divertiamo a suonare e riuscire a creare qualcosa di nostro è già una bella soddisfazione».

La musica, si sa, è anche immagine, vendere e sapersi vendere. Voi quali mezzi utilizzate per farvi conoscere dal pubblico?
Roberto: «Internet ed i social network al momento sono alla base di qualunque tipo di pubblicità, sono il canale di punta per la diffusione e la divulgazione di idee e contenuti, e noi sfruttiamo molto la Rete: abbiamo un profilo Facebook, un sito internet My Space dove è possibile ascoltare i nostri brani e scaricarli gratuitamente, e da pochi giorni è possibile trovare su Vimeo il nostro primo video musicale del brano Underwood. Ci tengo a precisare che il video è diretto da Marco Pirrello, splendido regista catanese, con cui abbiamo lavorato benissimo».
Riccardo: «Stiamo puntando molto, come ha spiegato Roberto, sulla diffusione in Rete, ma sappiamo che una volta il discorso sarebbe andato anche al di là del web. Una volta Catania aveva molto da offrire alle giovani band in cerca di visibilità, mentre oggi la città non rappresenta più il fervore dei concerti live. E’ difficile trovare serate in cui è possibile esibirsi. L’estate scorsa, ad esempio, l’amministrazione cittadina ha vietato i caffè concerto all’aperto e questo ha danneggiato molto i musicisti come noi».

Quali difficoltà trovate ad esibirvi a Catania?
Riccardo: «Ci vuole molta intraprendenza da parte della band nel riuscire a reperire una serata e i canali di contatto sono quantomeno torbidi. Nessun committente pubblico o privato contatta il gruppo ma è quest’ultimo che deve andare quasi porta a porta a proporsi. Le cose non vanno meglio dal punto di vista della committenza pubblica. Catania organizza moltissimi eventi e tutto il circondario pullula di feste e sagre e i contatti con le band musicali sono strettamente personali, di conoscenza. Non c’è mai un bando di selezione o un ascolto preventivo da parte di una giuria. A questo si aggiunge che nel panorama musicale etneo a farla da padrone sono le cover band».
Roberto: «Del resto, il nostro sound è particolare. Facciamo musica inedita in lingua inglese. Si tratta certamente di un prodotto di nicchia rispetto a quello che può offrire una tribute band. Anche questa è un’aggravante nel trovare serate».

Quali obiettivi vi ponete per il futuro?
Roberto: «Il nostro obiettivo primario attualmente è di pubblicizzare il primo video musicale e magari di condividerlo su Youtube. Quindi portare avanti gli inediti, ne abbiamo otto da perfezionare, e partecipare a concorsi e festival per gruppi emergenti. Abbiamo una demo di quattro brani da incrementare e vari singoli da incidere».


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