Nell'inchiesta Dirty oil dei militari del Gico della guardia di finanza spicca il nome del cittadino di Aci Castello. Finito in carcere perché considerato il collante tra il nord Africa, Malta e l'Italia, in un presunto giro di commercializzazione di greggio rubato. Un pentito ha parlato di lui come di un uomo «fidato degli Ercolano»
Nicola Romeo, se il petrolio dalla Libia parla catanese «Quella è mala vera, la mala che non si può toccare»
I sospetti di avere amicizie blindate con esponenti della mafia catanese e quelli di gestire affari illeciti a sei zeri. Dentro l’inchiesta Dirty Oil, conclusa dai militari del Gico della polizia tributaria della guardia di finanza etnea, spicca il nome di Orazio Nicola Romeo. L’uomo, nato ad Aci Castello, è finito in carcere al termine del blitz dei giorni scorsi perché considerato il collante tra Libia, Malta e Italia per gli affari della Maxcom bunker. La società ligure che si occupa di commercializzare greggio dietro la quale si sarebbero mossi affari illeciti. Uno dei vertici di questa presunta associazione criminale sarebbe stato l’amministratore delegato Marco Porta, e con lui una fitta rete di faccendieri e intermediari.
Romeo stando alle accuse si sarebbe mosso insieme ai maltesi Darren Debono – ex calciatore con 56 presenze in nazionale – e Gordon Debono. Un trio di persone e intenti tanto da accreditarsi come anello di congiunzione tra l’organizzazione criminale che si muoveva in Libia – e che si occupava di reperire enormi quantitativi di gasolio trafugandolo con modalità illecite -, e quella italiana, deputata alla commercializzazione illegale del combustibile con ribassi in doppia cifra. In questa fase sarebbero entrare in gioco alcune società che si sarebbero occupate di interfacciarsi con la Maxcom bunker – che secondo il presidente Giancarlo Jacorossi è estranea alla vicenda – ma che negli atti dell’inchiesta risultava gestita dall’imprenditore e amministratore delegato Porta. Quest’ultimo, insieme ai Debono e al siciliano Romeo, si sarebbe seduto più volte attorno a un tavolo per quelli che gli investigatori del Gico definiscono «veri e propri summit». Non solo in Italia, ma anche in Libia. Per incontrare direttamente Ben Khalifa, il capo di una milizia armata specializzata nel contrabbando di petrolio e attiva nella zona costiera tra Zuwarah e Abu Kammash.
Nel pedigree di Romeo ci sono tante ombre, compresa la presunta vicinanza ai gruppi mafiosi catanesi dei quartieri Civita, Stazione e Villaggio Sant’Agata. A lui sarebbero riconducibili alcune società rientrate sotto la lente d’ingrandimento dell’inchiesta. Come la Oceano blu trading, con sede a Malta e operante nel settore del commercio di prodotti petroliferi. Il compito dell’azienda sarebbe stato quello di emettere fatture per servizi resi nei confronti della Petroplus. In realtà dietro a quei documenti si sarebbero celate cessioni di partite di gasolio fornite da Ben Khalifa e poi, a largo di Malta, riversate sulle navi destinate all’acquirente finale, ovvero la Maxcom bunker. Una delle costanti, sottolineate dagli investigatori, sarebbe stata quella che prima delle operazioni – tecnicamente bollate come ship to ship – venivano staccati i rilevatori satellitari per fare perdere le tracce dei natanti in mare. La provenienza illecita sarebbe stata mascherata anche dalla società off-shore Seaway one trading, sempre riconducibile a Romeo e Darren Debono. Questa coppia di uomini d’affari avrebbe avuto un ruolo anche nella società tunisina Al Kamal international, accreditata da giugno 2016 come fornitrice diretta dell’impresa amministrata da Porta.
Il ruolo di Romeo secondo gli investigatori italiani emergerebbe in tutta la sua imponenza il 22 aprile 2016. Giorno in cui Porta arriva a Catania da Roma con l’obiettivo di incontrare, in un ristorante di Brucoli, nei pressi Augusta, il duo Debono-Romeo. Ad accompagnare l’imprenditore è l’altra indagata Rossana La Duca, consulente esterna per le comunicazioni e le relazioni territoriali della Maxcom bunker. Il viaggio a bordo di una macchina presa a noleggio dal capoluogo etneo alla provincia aretusea viene ascoltato dai militari e gli indagati diventano una sorta di libro aperto. «Quello è intercettato sempre quando è in Sicilia», dice la donna riferendosi a Romeo. L’imprenditore chiede perché e la risposta non tarda ad arrivare: «Quello ha gli amici giusti, quelli dell’amico Enzuccio, quella è mala vera, quella vera, quella giusta che non lo tocca nessuno. In Sicilia c’è la mala che si può toccare e la mala che non si può toccare, questa è la mala, quella giusta».
Ad accusare Romeo di essere vicino ai Santapaola è anche il collaboratore di giustizia Giuseppe Scollo. L’ex esponente della famiglia catanese di Cosa nostra lo ha riconosciuto sfogliando un album di personaggi che gravitano nel mondo della criminalità organizzata catanese, definendolo «un soggetto fidato degli Ercolano, e in particolare di Mario Ercolano». Sempre secondo il pentito, Romeo avrebbe chiesto un faccia a faccia con il fratello di Nitto Santapaola, Antonino, per discutere una presunta estorsione ai danni di un bar di Misterbianco, già finito sotto il pressing della cosca avversaria dei Tuppi di Gaetano Nicotra. Elementi, questi elencati, che però non hanno convinto la giudice ad accettare la richiesta dei magistrati dell’aggravante mafiosa. Romeo compare anche nella vicenda di un caso di lupara bianca risalente al 2011. Quello del duplice omicidio, avvenuto all’interno dell’agriturismo Akis di Aci Sant’Antonio, di Giuseppe Spampinato e Francesco Grasso. Romeo venne indagato per concorso nel delitto ma la sua posizione è stata archiviata dal giudice per le indagini preliminari.