Titolo: N’Gnanzoù. Storie di mare e di pescatori.
Autore: Vincenzo Pirrotta.
Regia: Pasquale De Cristofaro.
Scene: Emanuele Luzzati.
Luci: Lucio Di Pietro.
Musiche: Mario Spolidoro.
Interpreti: Vincenzo Pirrotta, Nancy Lombardo, Alessandro Nicolosi.
Produzione: FRONTISTERION Associazione culturale.
Buio in sala, in sottofondo sciabordio di onde: l’atmosfera è creata. Ci troviamo in una tonnara di Trapani, dove il capopesca, definito secondo il gergo marinaresco “Raisi”, trascorre le sue giornate, la sua vita. “Ci vogghiu stari allatu du mari, mi vogghiu impriacari du so ciauru” sono le sue battute d’esordio. Ed in effetti in un’ora piena, divorata, il nostro Raisi ci dimostra che di quel ciauru ne è già totalmente ubriaco. È il profumo dell’abbandono. Ad accompagnarlo in questa solitudine è il suo “muciarioto” (ovvero il tonnaroto che governa la “muciara”, imbarcazione del Raisi da cui deriva il suo nome). Nell’attesa del passaggio del branco di tonni, si dipanano racconti, canti, poesie, aneddoti conditi da speranze, paure, illusioni, scatti di rabbia e momenti di genuina comicità.
Il regista Pasquale De Cristofaro mette in scena un lavoro ideato dall’auttore (autore e attore contemporaneamente) palermitano Vincenzo Pirrotta. I testi di N’gnanzou’ nascono da una ricerca che quest’ultimo ha condotto tra i tonnaroti e i “raisi” di Favignana e Trapani. Si tratta di un percorso che affonda le radici nella più viva tradizione siciliana, trattando momenti di forte intensità nell’universo dei pescatori e raggiungendo l’apice drammatico nella pratica della mattanza. Inoltre, la loro forma di “cunto” siciliano ben si presta alla rielaborazione teatrale per voci e canti. Il titolo, rimasto inalterato, è N’gnanzoù, parola onomatopeica che richiama il suono prodotto dai pescatori siciliani nel momento del ritiro delle reti, che scandisce quindi il ritmo della mattanza. La parola, di derivazione araba, usata insieme ad “Ajamola”, la più importante delle “cialome” (i canti che accompagnano il lavoro dei tonnaroti) significa “forza” ed aiuta, con il suo suono atavico, la fatica della “isata du coppu”, l’alzata della camera della morte che consente di far affiorare i tonni per mattarli.
Protagonisti sono dunque i racconti stessi, che sfiorano diversi argomenti: dall’amuri alli fimmini, dalli animali alla vita in sé. E con loro è protagonista la voce narrante (Vincenzo Pirrotta) che sconvolge con la sua prorompente energia. Il Raisi si sfoga tra sorprendenti sbalzi d’umore, in monologhi ripetuti, un po’ difficili da seguire a causa dello stretto dialetto e della ridondanza con effetto “ipnotico”. Spesso infatti , per conferire maggior forza, ripete gesti e parole fino a che un elemento (il tono di voce o un cambio di luci, in un’occasione un fragoroso è un applauso in scena) non ne provochi bruscamente l’interruzione. Ma ciò che compensa queste lievi imperfezioni sono la disinvoltura e il camaleontismo dell’attore. Arriverà addirittura a “intonnarsi”, personificando “u lamentu di lu tunnu quannu sta pi moriri”.
Per l’allestimento teatrale basterà allora un palco semispoglio: nello sfondo un semplice telo raffigurante scene di mare, con un pescatore accovacciato accanto alla sua imbarcazione; al centro due panche e uno scoglio; in primo piano una barchetta e la forte presenza scenica di Raisi. Da contorno gli altri due personaggi. Una ammaliante Nancy Lombardo, splendida sirena nera, fa delle lente apparizioni per intonare dei canti a cappella che fungono da intermezzo alle storie narrate. Ed il muciarioto (Alessandro Nicolosi), che pur nella sua semplicità, con la sua fisarmonica e le sue impertinenti domande, sarà un essenziale accompagnatore.
Lo spettacolo si chiude con un prolungato applauso arricchito da una serie di “Bravo!”, “Bravi!”. Il pubblico in sala è caloroso. All’uscita c’è chi si complimenta con gli attori, chi imita (o prova a farlo) la gestualità del bravo Pirrotta, chi infine commenta: “Tutti vanno a vedere Lo Cascio perché è famoso, e poi magari si perdono una performance straordinaria solo perché l’attore protagonista non è abbastanza conosciuto!”.
Ma l’autore del capoluogo ha accolto il consiglio di Turi lu salinaru “Quannu lu destinu non t’aiuta, dumannicci cunsigghiu a la poisia”.
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