Il gruppo gdo e' stato tolto a un prestanome del boss di cosa nostra. Ma le autorita' rischiano farlo chiudere gettando in mezzo alla strada 200 lavoratori. Le dichiarazioni del sindaco di castelvetrano , felice errante
Nel ‘regno’ di Matteo Messina Denaro la mafia dà lavoro, mentre lo Stato…
IL GRUPPO GDO E’ STATO TOLTO A UN PRESTANOME DEL BOSS DI COSA NOSTRA. MA LE AUTORITA’ RISCHIANO FARLO CHIUDERE GETTANDO IN MEZZO ALLA STRADA 200 LAVORATORI. LE DICHIARAZIONI DEL SINDACO DI CASTELVETRANO , FELICE ERRANTE
Diventa un caso nazionale la vertenza di lavoro che tiene sulle spine duecento lavoratori alle dipendenze del gruppo commerciale – ipermercati e supermercati – un tempo di proprietà della mafia castevetranese ed oggi a stento gestiti dallo Stato. La vicenda merita i riflettori nazionali per una ragione semplice. Le società del gruppo commerciale che si occupa di distribuzione alimentare, non sono in crisi per via della contrazione degli acquisti dovuti alla caduta dei consumi. Proprio no! La crisi è legata – paradosso dei paradossi – alla vicenda giudiziaria che dal 2007 si identifica con la gestione statale delle attività. A Castelvetrano, in sostanza, è lo Stato che si è sostituito alla mafia nella gestione delle attività della distribuzione commerciale. Ecco perché la vicenda, che ha superato i confini dell’Isola, ha un’impatto potente, che si amplifica su tutto il territorio nazionale.
“Non vogliamo avere primogeniture – afferma il sindaco di Castelvetrano Selinunte, Felice Errante, al nostro giornale – ma quella del gruppo 6 Gdo non è una crisi derivante dal mercato, ma da una vicenda giudiziaria che vede lo Stato impegnato in prima linea, ecco perché va trattata in maniera diversa”.
L’incapacitù delle istituzioni nazionali e regionali di dare risposte concrete al tema dell’occupazione emerge con drammaticità proprio nella citata vicenda dei duecento dipendenti della holding confiscata a Giuseppe Gricoli a Castelvetrano. si tratta di un personaggio rimbalzato sulle cronache nazionali per essere stato condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa per il ruolo di ‘cassiere’ della mafia. Intestatario di un immenso patrimonio, tra cui le società della grande distribuzione commerciale di proprietà del super latitante, Matteo Messina Denaro.
Le società del gruppo Gricoli che operano nel settore della grande distribuzione commerciale, tra le quali 6 Gdo, dal 2007 sono gestite dallo Stato, dopo l’arresto di Gricoli e la fase di amministrazione giudiziaria.
Dopo una lunga trattative dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati alla mafia con diversi gruppi societari interessati all’acquisto delle società castelvetranesi, il tutto sembra essersi arenato negli ultimi tempi.
La vicenda tiene col fiato sospeso duecento lavoratori e le loro famiglie, a rischio licenziamento. La trattativa, dicevamo, avrebbe un momento di stallo perché i soggetti interessati all’acquisto sarebbero pronti a rilevare solamente i supermercati da destinare alla vendita di prodotti sotto altre marche commerciali. Non sarebbero, invece, interessati all’acquisizione del Cedi, il Centro di grande distribuzione del gruppo che, all’interno della ex holding targata Gricoli/Messina Denaro, si occupava della distribuzione e che forniva tutti i supermercati del gruppo. L’impatto sociale sarebbe pesante, perché al Cedi lavorano cento venti dipendenti che resterebbero senza lavoro.
L’Agenzia nazionale dei beni confiscati alla mafia, in trattativa con i gruppi interessati a rilevare parte delle attività della “holding della mafia trapanese”, non ci sta e tiene duro. Per l’Agenzia o si vende tutto in blocco oppure non se ne fa nulla e questo al solo fine di garantire tutti i posti di lavoro.
“Se dovesse passare questo pessimo messaggio che lo Stato toglie il lavoro che la mafia aveva dato – dichiara Errante – le istituzioni a vario titolo coinvolte perderanno inesorabilmente la faccia. Diventa sempre più difficile far comprendere che lo sviluppo economico di un territorio passi attraverso un percorso di legalità”.
Altro paradosso della vicenda è che nelle scorse settimane si è verificato un singolare quanto curioso via vai, a Castelvetrano, di personalità e politici che a loro modo avrebbero portato solidarietà ai lavoratori e promesso di intervenire a livello romano.
Sono venuti in visita la senatrice del PD, Pamela Orru, il senatore del Megafono, Beppe Lumia, grande sponsor del Governo regionale del presidente Rosario Crocetta, e l’ex magistrato, Antonio Ingroia, oggi “illegittimo” commissario straordinario alla Provincia regionale di Trapani. Una sorta di “gotha” della sinistra che, indipendentemente dal presidente del Consiglio di turno, avrebbe dovuto dare una accelerazione alla vicenda.
L’unico cambio di marcia si è avuto sul versante lavorativo. Infatti, una delle società del gruppo ex Gricoli, la Stegicom, ha giù inviato a quattordici dipendenti lettera di licenziamento. A partire dal 15 marzo questi lavoratori resterenno a casa e senza lavoro. Inoltre, dal tre marzo prossimo partirebbero altre trenta lettere di licenziamento.
E’ iniziato, in pratica, il conto alla rovescia, per il totale licenziamento di tutta la platea dei lavoratori del gruppo.
Questa volta, però, in questa vicenda che appare una ordinaria crisi aziendale, a perderci non sarebbero solamente le duecento famiglie ed il territorio che verrebbe privato di occupazione, ma lo Stato e le istituzioni a tutti i livelli, nessuno escluso.
Non è sopportabile che mentre il Governo Crocetta si sia intestato la “guerra santa” contro la mafia e l’illegalitù, a Castelvetrano lo Stato potrebbe uscirne sconfitto proprio da quella mafia che ha dato da sfamare a parte della popolazione, mentre lo Stato e la Regione siciliana oggi non sarebbero in grado di garantire ciò che la mafia garantiva. L’augurio è che tutto questo non si verifichi.
Nota a margine
I fatti di Castelvetrano non sono una novità. Da anni si parla di gestire con criteri imprenditoriali i beni confiscati alla mafia. Tutto inutile. Perché a dominare la scena sono avvocati e commercialisti chiamati dai magistrati a gestire aziende senza avere alle spalle alcuna esperienza imprenditoriale. La verità è che su questo terreno, in assenza di una legge che regoli la gestione di questi beni, succede di tutto.
A Palermo, ad esempio, da anni uno studio legale fa la parte da leone nella gestione di questi beni confiscati. Qualcuno ha mai verificato i risultati imprenditoriali di tali gestioni? E’ stata tutelata la produttività di questi beni e la creazione di posti di lavoro, o sono state privilegiate le parcelle di avvocati e professionisti che orbitano attorno a queste gestioni?
Il tema è serio e andrebbe affrontato dal Legislatore. Eliminando le troppe sacche di discrezionalità.