Nebrodi e Madonie, ettari miniera d’oro per la mafia Il caso del terreno comprato due volte dallo Stato

La potenza di Cosa nostra al centro della Sicilia si misura anche in ettari. Quasi mille quelli sottoposti a sequestro nei parchi delle Madonie e dei Nebrodi, in forza di un’ordinanza del Gip di Caltanissetta che ha corroborato le indagini del Nucleo di polizia economico e finanziaria della Guardia di Finanza e dello Scico di Roma. 

Ma non è solo una questione di grandezze, bensì di metodi. Spregiudicati nell’accaparrarsi i titoli di proprietà di vasti appezzamenti di terreno, in alcuni casi anche del demanio dello Stato, poi rivenduti con espedienti ad enti pubblici della Regione siciliana come l’Ismea. Anche se di fatto rimanevano sempre nella disponibilità di prestanome di famiglie mafiose, per esempio i Virga, inseriti nel mandamento di San Mauro Castelverde, quello territorialmente più esteso della Sicilia. 

Da qui il nome Terre emerse, operazione della Dda di Caltanissetta che ha portato sei persone in carcere, cinque ai domiciliari e all’esecuzione di una misura cautelare interdittiva di sospensione dell’attività professionale per un notaio di Grammichele, G. D. Ma in totale gli indagati sono 23. Atti di compravendita che compaiono al catasto ma non nella conservatoria hanno consentito agli indagati di vantare titoli anche su terreni di cui non avevano la disponibilità, perpetrando truffe all’Agea per l’erogazione di contributi pubblici: circa 430mila euro dal 2014 al 2018. Come sia stato possibile lo ha spiegato il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, Pasquale Pacifico: «Un meccanismo di questo tipo ovviamente funziona perché i controlli sono ridicoli. Vengono fatti a posteriori dopo due anni e solamente in modo cartolare. Si controlla soltanto la regolarità formale ma non l’effettiva disponibilità dei terreni».

Al centro dell’operazione la famiglia dei Di Dio di Capizzi (nel Messinese), i cui interessi erano focalizzati nell’Ennese. Gli istituti di credito utilizzati per incamerare i contributi, o acquistare e vendere terreni sono stati individuati a Caltanissetta e provincia. I contatti accertati dall’indagine vanno dalle famiglie mafiose del Palermitano a quelle del Catanese, soprattutto i Virga di Gangi.

Il procuratore Amedeo Bertone e la sostituta Nadia Caruso in conferenza stampa hanno sottolineato questi collegamenti del nucleo familiare sia nel mandamento di San Mauro Castelverde che con le famiglie di Enna e Catania. «È sorprendente scoprire che questi soggetti avevano intessuto rapporti contemporaneamente con famiglie mafiose della Sicilia orientale e occidentale – ha spiegato Caruso -. Contatti sono emersi con i Virga e con le famiglie di Gangi e Polizzi Generosa. Una geografia mafiosa già illustrata dal pentito Giuffrè».

I destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere sono Antonio Di Dio, Domenico Di Dio, Giovanni Giacomo Di Dio, Giacomo Di Dio, Giuseppe Fascetto Sivillo e Caterina Primo. Ai domiciliari gli stessi Virga Rodolfo, Ettore e Domenico insieme a Salvatore Dongarrà e Carmela Salerno. Il notaio di Grammichele raggiunto dalla misura interdittiva della sospensione per sei mesi dell’attività professionale e accusato di falsità ideologica. Quest’ultimo avrebbe siglato l’atto di acquisizione per usucapione di terreni che fanno parte del demanio dello Stato. La procura contesta a vario titolo i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso e truffa per l’erogazione di fondi pubblici.

Gli indagati erano in grado di costituire società ad hoc e nel giro di pochi giorni chiedevano i fondi all’Agea. Il caso più emblematico è quello di una particella in catasto, riferita ad un appezzamento di terreno già oggetto di esproprio da parte della Regione siciliana molti anni fa. Gli indagati hanno continuato a detenerlo, percependo i contributi Agea. Forse a causa della mancata trascrizione dell’atto, lo stesso terreno è stato poi frazionato e rivenduto al Parco delle Madonie, anche in questo caso senza trascrizione. Con il risultato finale che lo Stato lo ha pagato due volte senza neanche venirne in possesso, poiché il terreno rimaneva sempre nella disponibilità dell’organizzazione.

L’indagine è durata un anno ed è partita dalle risultanze di un’altra inchiesta della Guardia di finanza nissena, l’operazione Nibelunghi del gennaio 2018 che lambì anche gli affari della famiglia Rinzivillo di Gela. Oggi sono stati posti sono sequestro terreni per 900 ettari, fabbricati e nove aziende agricole per un valore di 6,5 milioni di euro a cui si aggiungono 430mila euro oggetto di sequestro per equivalente. 

I militari della Guardia di finanza hanno documentato il passaggio di contanti, dimostrando come le erogazioni e le utilità tornavano nella disponibilità di esponenti di Cosa nostra e che le intestazioni di beni erano fittizie, utili soltanto a scongiurare l’aggressione dei patrimoni da parte dello Stato. «Si tratta di un nuovo gruppo che faceva intestazione fittizia consentendo ai mafiosi di sfuggire ai sequestri e ottenere i contributi, una parte dei quali rientrava nelle casse di Cosa nostra. In particolare la famiglia Virga», ha spiegato il tenente colonnello Eugenio Bua che guida il Nucleo di polizia economico finanziaria delle Fiamme gialle nissene.


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