Presentato il 9 aprile durante una conferenza stampa il dossier di Agata Pasqualino sulla fine che hanno fatto i beni confiscati alla mafia a Catania. "Case loro", pubblicato con l'ausilio di LiberaInformazione, è un'altra delle inchieste che Step1 vi propone in questa vigilia di Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia
«Neanche il tempo di cambiare l’etichetta nel citofono»
Ci sono, ma le amministrazioni li dimenticano: si tratta dei beni confiscati alla mafia che, secondo la legge, possono e devono essere riassegnati, restituiti alla città e ai cittadini. Ma la realtà è ben diversa, e si scontra col muro della burocrazia e dell’incompetenza. Agata Pasqualino, redattrice di Step1, ne ha parlato in “Case Loro”, il dossier pubblicato da questo giornale in partnership con Libera Informazione. Collaborazione perfetta, visto il tema, giacché, come ha spiegato l’autrice il 9 aprile, durante la conferenza stampa di presentazione del lavoro, «ci sono delle zone che hanno bisogno di essere riportate alla legalità, ed è in quelle che insistono moltissimi dei beni confiscati alla mafia e ancora inutilizzati».
«Catania – si legge nelle prime pagine del fascicolo – è la quarta città per numero di beni confiscati alla criminalità organizzata in Italia». I beni confiscati sono infatti cinquecentonovantadue, tra cui ottantasette aziende (e sessanta solo nel Comune di Catania, hinterland escluso): «In media dal sequestro alla confisca dei beni passano dagli otto ai dieci anni. Ai tempi lunghi della giustizia si aggiungono anche gli anni che passano tra la confisca e l’assegnazione».
Quattro sono gli immobili già destinati e inutilizzati. Tra questi, quello chiesto da Giuliana Liuzzo, presidente della Fiadda Onlus (Federazione Italiana per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi): «Lessi la legge sull’assegnazione dei beni, mi feci spiegare l’iter da seguire e cominciai la trafila burocratica per avere un appartamento in via Anapo, confiscato a Benedetto Santapaola nel 1986, all’interno del quale furono trovati diversi scatoloni pieni di schede elettorali. Era il 2004». Tanto
tempo, progetti approvati, ritardi, errori. «Finché a febbraio dello scorso anno ho affittato per la mia associazione un altro locale, per il quale pagavo 800 euro al mese. Adesso, però, siamo stati sfrattati», continua la Liuzzo, ospite alla conferenza. E prima di chiudere il suo intervento, si domanda: «Mi conviene affittare un altro bene? Mi conviene aspettare che si sblocchino i fondi per la ristrutturazione dell’appartamento di Santapaola che è ancora inutilizzabile? Nel frattempo, il 2012 si avvicina e, con esso, la scadenza del mio comodato».
E questo dei comodati che scadono è un problema che pure Libera ha dovuto affrontare: «Non abbiamo firmato i comodati d’uso che ci sono stati proposti e che prevedevano la cessione dei locali in oggetto per tre anni», approfondisce Dario Montana, presidente della sezione catanese di Libera e fratello di Beppe. Ma perché non accettare quei comodati? «Perché tre anni non ci sarebbero bastati neanche per cambiare l’etichetta nel citofono». E l’esperienza del centro Astalli
insegna: nel 2006 ha firmato un contratto col Comune di Catania che prevedeva l’affitto di alcuni locali nel quartiere di Zia Lisa – sequestrati nel 2002 a un uomo di Santapaola – fino al 2009. Peccato che tra le varie ristrutturazioni che si sono rese necessarie per mettere in sicurezza quelle stanze, il 2009 sia arrivato, il comodato sia scaduto e il centro Astalli sia rimasto di nuovo fuori.
Tutto il resto, in “Case loro”.
Ecco il commento di Dario Montana all’inchiesta “Case loro”.