«Non si possono chiudere gli occhi». E, in più, lei non può spegnere il suo cellulare. Quello al quale arrivano continuamente richieste d'aiuto dalle imbarcazioni cariche di migranti. Da circa dieci mesi i messaggi più numerosi vengono dall'arcipelago greco. «Il fronte lì si sta aggravando», racconta la volontaria
Nawal, attivista etnea raccoglie sos in Grecia «Situazione drammatica, gommoni ogni ora»
Nawal Soufi è partita di nuovo. Non perché in Sicilia non ci sia più bisogno di lei, ma perché le richieste di aiuto che arrivano dalla Grecia sono diventate troppe. «La situazione dal fronte turco-greco si sta aggravando. Gli sos ormai sono all’ordine dell’ora, non più del giorno», dice l’attivista di origini marocchine, trapiantata a Catania quando era bambina. Da ormai due settimane, Nawal accoglie i migranti che, su gommoni e pescherecci, attraversano il mare alla ricerca della salvezza. Che, sempre più spesso, non passa più dalle isole siciliane ma da quelle greche. Lei è a Lezvos, ma dà una mano a tutti barconi che la cercano e che arrivano a largo dell’arcipelago.
«Non si possono chiudere gli occhi davanti al genocidio del Mediterraneo – sostiene Nawal – Non riesco a pensare a questo mare che è diventato una tomba per troppe persone». L’Europa, quella che sempre più profughi cercano, secondo l’attivista «è diventata impermeabile. Entrarci per le vie legali è impossibile. In tantissimi mi chiedono come farlo. Io rispondo: “Vai a fare la richiesta all’ambasciata”. Ma so benissimo che il numero di persone che vengono accettate è veramente ridicolo». E sa benissimo anche che le organizzazioni internazionali devono fronteggiare «troppa burocrazia per poter essere pienamente operative. Per loro è difficile fare pressioni per, per esempio, fermare un respingimento».
Iracheni, siriani, afghani. Ma anche «migranti cosiddetti economici, quelli che vengono dalle zone del Maghreb». Chi approda in Grecia non è di una sola nazionalità. Anche per questo il lavoro di mediazione culturale al momento dell’arrivo sulla costa è importantissimo. «In Italia la primissima accoglienza è strutturata in maniera tale che si garantiscano almeno le cose fondamentali: cibo, acqua, vestiti, comprensione – afferma lei – Qui questo succede, ma non sempre. Tantissime imbarcazioni raggiungono le spiagge o le scogliere senza il salvataggio della guardia costiera, e le persone restano ore, ore e ore ad aspettare. Ricevo sos da almeno dieci mesi». E non sono richieste d’aiuto solo per l’avaria dei mezzi su cui i migranti viaggiano: «Mi chiamano anche quando si trovano su isole senza acqua né qualcosa da mangiare».
Proprio quello dell’acqua è il problema principale che lei e gli altri attivisti si trovano ad affrontare. «Sui gommoni ci sono tanti bambini – spiega – Ci sono casi in cui rimangono per decine di ore in isole disabitate. Senza niente da bere». A questi elementi vanno aggiunti il freddo e il cattivo tempo di questi giorni: «Io e altri volontari li aiutiamo a sbarcare – continua Nawal – e poi li portiamo dentro alle macchine o ai furgoni. Li riscaldiamo coi riscaldamenti dei mezzi, perché non c’è altro modo. Poi li portiamo nei centri di prima accoglienza, che spesso sono distanti chilometri. Non ci possiamo fermare un attimo. Arriva un gommone dietro l’altro. La situazione è drammatica».