Quando le hanno dato un foglio bianco e la matita, la piccola Sema, al sicuro sotto un gazebo sul molo di Catania, ha disegnato se stessa piccola, al fianco della sua mamma, lunghissima. E viva. La donna è sopravvissuta perché strappata alla morte, all’ultimo respiro, dagli uomini della Guardia costiera che l’hanno ripescata in acqua svenuta e l’hanno rianimata. Alima e Sema fanno parte del gruppo di 86 migranti, di cui 27 bambini, provenienti dall’Africa subsahariana (Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Sierra Leone) arrivati ieri al porto di Catania, testimoni del naufragio dell’Epifania in cui, stando proprio ai racconti di chi si è salvato, sono morte 64 persone. Sarebbero stati in 150 infatti a partire dalla Libia.
Il racconto di Alima disegna i contorni della sua battaglia per salvare se stessa e la sua bambina di cinque anni. «Io e mia figlia abbiamo pregato a turno durante la traversata – ha detto alle psicologhe di Medici senza frontiere – poi, quando il gommone ha cominciato ad affondare e si è scatenato il panico, ho fatto di tutto per salvare la mia bambina, ho dato un morso a un uomo che ci stava schiacciando, mi sono aggrappata a una corda. Ho cercato in tutti i modi di tenerci a galla fino a quando non sono svenuta». E priva di sensi l’hanno trovata i primi soccorritori che sono riusciti a rianimarla. A bordo della nave Diciotti tutto l’equipaggio, non solo lo staff medico, si è dato da fare per salvare quante più vite umane.
Resta però da capire quanto tempo sia trascorso da quando il gommone in difficoltà è stato avvistato all’arrivo della Guardia costiera italiana. «Due ore circa», hanno riferito alcuni sopravvissuti. Di tre ore aveva parlato nei giorni scorsi la ong spagnola Proactiva Open Arms. Sarà questo uno dei punti su cui dovrà far luce l’indagine aperta dal procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, e affidata alla squadra mobile che ieri ha acquisito testimonianze e verbali delle operazioni del personale di bordo. Così come da chiarire è anche cosa abbia causato l’affondamento del gommone.
Le due psicologhe di Medici senza frontiere hanno sentito ieri 14 persone. «Tutte hanno perso un familiare o un amico – spiega una delle professioniste, Nathalie Leiba -. La maggior parte di loro erano ancora molto scombussolate, alcuni non avevano realizzato effettivamente quanto è accaduto. Noi li abbiamo accompagnati nella ricostruzione dell’evento, aiutati a esprimere le emozioni connesse e abbiamo cercato di stabilire un clima positivo attorno ai più piccoli, li abbiamo fatti giocare e disegnare». Tra questi ci sono anche un bimbo di tre anni e uno di dieci, arrivati insieme allo zio 17enne. «Il piccolo di dieci anni ci ha chiesto informazioni su Torino – continua la psicologa – perché è tifoso della Juventus, quindi abbiamo parlato un po’ di calcio». Un modo per allontanare dalla mente per qualche minuto i terribili momenti vissuti nel Mediterraneo.
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