Dopo dodici interrogatori e l'ispezione nel relitto, vengono ribadite le accuse ad Alì Malek e a Bikhit, ad eccezione del sequestro di persona. Confermata la dinamica di quanto accaduto, frutto di una serie di concause: il sovraffollamento e le errate manovre che portarono alla collisione con il mercantile King Jacob
Naufragio: concluse indagini, sotto accusa in due Procura: «Il portellone della stiva non era chiuso»
Si sono chiuse le indagini preliminari sul naufragio del 18 aprile a largo della Libia in cui sarebbero morte circa 800 persone. Il quadro delle accuse formulato dalla procura nei giorni immediatamente successivi viene quasi integralmente confermato, così come la dinamica di quanto accaduto. Gli indagati restano solo due: il presunto scafista tunisino Mohammed Alì Malek, e l’assistente siriano Ahmud Bikhit.
Al termine dei dodici incidenti probatori, corrispondenti alle testimonianze di altrettanti superstiti, e in seguito alle ispezioni sul relitto, individuato sul fondo del mare, cambia solo uno dei capi di accusa nei confronti dei due uomini: viene meno quello di sequestro di persona, perché non è stato confermato che il portellone della stiva fosse chiuso per non impedire ai migranti di muoversi. «Almeno un portellone era aperto e assicurato alla paratia – scrive la Procura della Repubblica etnea – inoltre due testimoni hanno dichiarato di essersi spostati da una stiva al ponte». Alì Malek e Bikhit restano quindi accusati di naufragio colposo, omicidio colposo plurimo e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il rovesciamento del barcone sarebbe stato causato da una serie di concause: il sovraffollamento dell’imbarcazione, le errate manovre compiute dal comandante Malek, che portarono il peschereccio a collidere con il mercantile King Jacob, accorso in aiuto, prima di prua e poi ripetutamente con la fiancata sinistra. La Procura afferma che non è stato possibile stabilire con certezza il numero di migranti che erano presenti sul natante: la stima di 800 persone deriva dalle dimensioni del peschereccio, ispezionato nel fondale, dal ritrovamento di un numero molto alto di corpi dentro e nei dintorni, dalle convergenti testimonianze dei sopravvissuti. Infine la previsione è confermata anche da un episodio analogo, verificatosi nel 2014, in cui era coinvolta un’imbarcazione simile. In quel caso furono salvate dalla marina militare italiana 870 persone. I racconti di chi è sopravvissuto al naufragio parlano anche dei tentativi dei presunti scafisti di far imbarcare ancora altre persone, nonostante il peschereccio fosse già strapieno.
Confermate le violenze che i migranti avrebbero subito prima di partire, in particolare nella fattoria, in una zona di campagna vicino a Tripoli, dove erano stati trasferiti in attesa di partire per la Sicilia. La Procura non ha fornito invece ulteriori informazioni su alcuni elementi poco chiari emersi durante gli incidenti probatori. Alcuni migranti avrebbero infatti parlato di altri due membri dell’equipaggio di nazionalità somala, morti in mare, che si sarebbero occupati di controllare i livelli dell’imbarcazione in cui erano stipati. Come nessuna conferma ufficiale arriva alle dichiarazioni, raccolte dalla Reuters, da parte del fratello del principale indagato, il comandante Malek. Il parente ha raccontato che il presunto scafista avrebbe fornito un’identità falsa e che in realtà il suo vero nome sarebbe Nourredine Mahjoub.