«È un libro pieno di futuro. Il volume è uscito in libreria il 22 febbraio, poche ore prima dello scoppio della guerra in Ucraina. In questo particolare momento che stiamo vivendo sento di avere messo in circolo un messaggio di speranza e salvezza». Nadia Terranova definisce così Trema la notte, sua ultima fatica letteraria, edita da Einaudi. La scrittrice messinese torna per la gioia dei suoi tanti lettori con una nuova storia ambientata durante il terribile terremoto del 1908 che distrusse, in pochi secondi, le città di Messina e Reggio Calabria.
«Tra tutti i miei libri – ha dichiarato l’autrice intervenuta sulle frequenze di Radio Fantastica del Gruppo Rmb, all’interno del programma Tuttapposto! condotto da Antonella Insabella – è quello dove la tragedia assume delle proporzioni più grandi perché collettive, ma è anche il romanzo che considero con più futuro. Scriverlo è stato come fare un tuffo nel passato guardando però verso l’avvenire».
Al centro della vicenda ci sono Barbara e Nicola «due personaggi che rappresentano due facce dello stesso mare». I due si trovano ai lati opposti dello Stretto, la prima a Messina e il secondo a Reggio Calabria, ma sono legati dallo stesso sentimento di libertà, obiettivo che raggiungeranno alla fine pagando però un prezzo altissimo. «Sono come due rette parallele – prosegue la scrittrice – che però, ad un certo punto della loro vita, si incontrano perché la natura decide di muovere tutto in una maniera apocalittica. Le regole allora cambiano in maniera repentina e i due si ritrovano faccia a faccia. Ho scelto volontariamente di non focalizzare l’attenzione del lettore solo sul lato siciliano dello Stretto per far trasparire il dualismo dettato dalle storie dei personaggi».
Non è questo l’unico motivo doppio ricorrente nel libro. «Man mano che si va avanti nella lettura – conclude Terranova – sgorga inevitabile il confronto tra le catastrofi naturali e quelle causate dall’uomo. Le prime non possiamo prevederle neanche con le più sofisticate tecnologie, le seconde purtroppo dobbiamo invece subirle anche se sono le uniche che potrebbero essere realmente evitate».
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