Musei, Regione vuole prestare ai privati beni non esposti Esperta: «Si rischiano furti e i depositi vanno valorizzati»

«Un’operazione maldestra pensando di fare cassa». Dopo il coro unanime proveniente dalle associazioni, che hanno denunciato il piano di «dismissione a favore dei privati» del patrimonio culturale della Sicilia, un’altra critica alla cosiddetta Carta di Catania – pensata dall’assessore Alberto Samonà – arriva dalla museologa Mercedes Auteri. Nel mirino sono finiti i decreti con cui l’esponente del governo Musumeci, sul finire dello scorso anno, ha pianificato un sistema di concessioni dei reperti che affollano i depositi delle Soprintendenze e dei musei regionali. Prestiti che avverrebbero in cambio di un corrispettivo – in denaro o sottoforma di servizi di promozione, marketing o operazioni di restauro – pari ad almeno un decimo del valore del pezzo richiesto.

«Questa proposta non tiene conto di alcuni fattori fondamentali per la salvaguardia del nostro patrimonio su cui non è possibile lucrare e a dirlo è innanzitutto la Costituzione – spiega Auteri a MeridioNews – L’articolo 9 dice che tra i principi fondamentali c’è la tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio. Ma anche il codice dei beni culturali chiarisce che la valorizzazione deve avvenire in forme compatibili con la tutela».

L’idea di guardare ai depositi come magazzini in cui sono ammassati beni sottratti alla visione pubblica e per questo motivo di possibile cessione – il decreto prevede prestiti da due a sette anni, rinnovabili per una volta tacitamente e alle stesse condizioni – secondo Auteri è antiquata. «Bisognerebbe riflettere sui depositi dei musei e farlo con professionisti del settore, con chi ha studiato per valorizzarli – sottolinea l’esperta. Spesso sono luoghi di custodia per i beni più vulnerabili, per i quali non è possibile un’esposizione prolungata. Se questi beni non sono esposti, quindi, è per ragioni conservative o perché in attesa di essere sottoposti a indagini conoscitive». Oltre a una questione strettamente legata alla fragilità delle opere, c’è in ballo anche la concezione che ancora oggi si ha dei depositi, specialmente tra i non addetti ai lavori. «La loro importanza è poco compresa. Invece vanno visti come opportunità per l’innovazione della museografia e della museologia – spiega Auteri – I depositi possono diventare luoghi ideali per esposizioni temporanee, trasformarsi in laboratori e spazi di ricerca, oltre che posti in cui le professionalità museali possono trovare possibilità occupazionali».

A esprimere il proprio dissenso nei confronti dei decreti targati Samonà sono state nei giorni scorsi le associazioni Italia Nostra, Memoria e Futuro e Ranuccio Bianchi Bandinelli, i cui referenti sono stati ascoltati in commissione regionale Cultura. La richiesta è di ritirarli in nome del rispetto che bisognerebbe riservare a qualsiasi traccia del nostro passato, specialmente se ha un valore culturale. Qualcosa che non può essere gestito come una qualsiasi merce da catalogare – come si legge nel provvedimento dell’assessore – in lotti. Per le associazioni, c’è il rischio di fare soltanto un favore alle «brillanti vetrine di centri commerciali, lussuosi alberghi e residenze private». Uno scenario che Auteri non esclude, sottolineando che avviare il piano di concessioni potrebbe comportare «speculazioni a scopo di lucro, ma anche svalutazioni delle opere in contesti non adeguati, furti e gravi danneggiamenti».

Al presidente della commissione Cultura Luca Sammartino, la scorsa primavera anche lui criticato per un disegno di legge che interveniva oltre che sul patrimonio culturale anche sulle norme paesaggistiche, le associazioni hanno presentato un dossier in cui si vede nei decreti Samonà l’ennesimo tentativo della politica di spodestare le competenze specialistiche. «La nomina politica di tutte le figure apicali del sistema regionale di tutela, calcolabili in circa trecento posizioni, ha determinato – si legge nel documento – un forte condizionamento politico all’azione amministrativa degli organi tecnico-scientifici». Adesso a occuparsi di concedere tutti i beni che riceveranno una richiesta tra quelli che, citando i decreti, «non siano destinati alla pubblica fruizione, siano stati acquisiti per confisca, quelli donati spontaneamente o quelli di più vecchia acquisizione di cui sia stata smarrita la documentazione», dovrà essere un unico responsabile del procedimento. Un burocrate.

Se in questa disputa un punto fermo c’è, è quello riguardante la ricchezza delle opere conservate. «Circa dieci anni fa – ricorda Mercedes Auteri – la Corte dei conti, scoprendo che non esisteva né una stima dei reperti né una banca dati dei beni culturali statali, aveva ipotizzato che ciascun deposito dei quasi cinquemila musei italiani potrebbe contenere almeno lo stesso numero delle opere esposte». Una considerazione che si adatta anche al caso regionale. Ma allora cosa fare? «Si potrebbe pensare che essendo così ricco il nostro patrimonio non ci farebbe nulla se se ne desse via un po’. Ma non è così. I depositi di un museo – va avanti l’esperta – rappresentano una sorta di riserva aurea in perenne rapporto con le collezioni esposte. Ed è giunto il momento che vengano rivalutati, trasformandoli in luoghi visitabili dagli studiosi. Anche perché – conclude – sono spesso un serbatoio di sorprese».


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