Multiculturalità, tolleranza e panini italiani

Londra non è la città di cui tutti si innamorano. Io perfino la snobbavo un po’ all’inizio. Pensavo “puh, Londra, che sarà mai, una metropoli come un’altra…”. Non ha molto senso parlare quando si è solo all’inizio, quando non si hanno in mano abbastanza carte e tutto dev’essere ancora plasmato.

C’è chi è stupidamente attratto da questa strana città, chi lo è lievemente, e chi lo è con molta intelligenza.

Non sono tanto i musei, l’arte moderna, i parchi a colpire. Non c’è solo turismo in questo indescrivibile posto. Bisogna viverci almeno un po’ per capirci qualcosa e per rendersi conto che non esiste una cosa che sia fuori posto. C’è spazio per chiunque e per qualunque cosa.

Londra è la città più multiculturale che si possa trovare, e al contempo è inglesissima. Ci sono indiani ricchissimi, che portano anelli al dito grossi così: sono impiegati in uffici importanti e ti guardano dall’alto in basso se solo ostenti una lieve manchevolezza linguistica.

Ce ne sono tanti altri che ti vendono panini orrendi, che però tutti gli inglesi mangiano. Te li spacciano per panini “italiani” e poi te li servono farciti di orrenda custard e carne di dubbia provenienza.

Ci sono rabbini, algerini che si cimentano in danze folkoristiche, giapponesine benvestite e gente di ogni tipo. Ognuno legge un giornale diverso.

Se mi guardo a destra mentre sono nella metro, c’è un ipotetico inglese in giacca e cravatta, profumatissimo e stanco morto. Non mi guarda neanche in faccia e sembra voler uccidere la comitiva di turisti spagnoli che gridano all’impazzata, neanche fossimo al mercato del pesce.

Se poi mi guardo a sinistra c’è una donna di colore, coi tacchi e i capelli freschi di parrucchiere. Non ho la minima idea del suo paese di provenienza, ma sono certa che l’integrazione per lei qui non è stata un ostacolo. Lei non ha sonno, lei sorride ed ha una busta del carissimo Harrods: pessimo segnale.

Alla fine mi guardo davanti e inaspettatamente il sedile di fronte a me è vuoto. Vedo la mia immagine riflessa nel vetro del finestrino e penso: “c’è ancora posto”.


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