Il 29enne è morto il 26 maggio 2021 mentre attraversava via Passo Gravina. Sotto indagine è finita una donna che si trovava alla guida di una Mercedes, indicata da una testimone come possibile responsabile di un urto. La guidatrice si fermò e chiamò i soccorsi
Morte Joshua, periti della procura: «Incidente autonomo» La sua bicicletta potrebbe aver preso un tombino di scolo
Ricostruire quale sia stata la dinamica dell’incidente a seguito del quale morì Joshua La Rosa. È stato questo il punto di partenza della relazione tecnica richiesta dalla procura di Catania per cercare di fare chiarezza su quanto accaduto in via Passo Gravina, poco prima del sottopassaggio della circonvallazione, il 26 maggio dello scorso anno. Giorno in cui perse la vita il ciclista 29enne, padre di una bambina, mentre si stava recando a lavoro. Un caso che ha presentato degli aspetti poco chiari e che ha portato gli uffici della procura ad aprire un fascicolo con l’ipotesi di reato di lesioni personali stradali. Unica indagata è una donna che quel pomeriggio procedeva con una Mercedes lungo la stessa arteria che La Rosa stava affrontando in bicicletta. Il mezzo a due ruote, secondo il racconto di una testimone, procedeva sul lato sinistro della carreggiata, non distante dal marciapiede, e sarebbe stato urtato dalla macchina mentre quest’ultima superava un secondo veicolo. «La conducente si fermò poco più avanti – raccontò la testimone, quando venne sentita dalla polizia municipale – e chiamò i soccorsi».
I periti mettono nero su bianco i dettagli del luogo dell’incidente, evidenziando come «nel tratto di strada interessato alla fase di caduta del ciclista» la strada presenti un chiusino per il deflusso delle acque di scolo con un «dislivello di quattro centimetri rispetto alla superfice stradale», si legge nella relazione. Particolare che «può costituire un’insidia ai conducenti dei veicoli a due ruote qualora lo dovessero intercettare durante la loro marcia». Nella perizia c’è un intero capitolo dedicato all’analisi dei mezzi. La biciletta, una mountain-bike, è stata immortalata da alcune fotografie scattate dai vigili urbani dopo l’incidente. Gli scatti mostrano il mezzo con lo sterzo girato al contrario e il sellino ruotato verso sinistra «con una fenditura netta». Il particolare, secondo i periti, farebbe emergere «un urto obliquo contro una struttura rigida e dal profilo spigolare». «Da notare anche – si continua nel documento – che lo pneumatico posteriore, rispetto a quello anteriore integro, si presenta afflosciato». Sotto la lente d’ingrandimento anche una ammaccatura sul pedale sinistro e altre abrasioni e vernice saltata sul telaio della bicicletta. La macchina, invece, presentava «striature a scalare in quasi tutta la fiancata sinistra» e un «avvallamento della lamiera subito dopo la sede dello specchietto retrovisore».
Per cercare di capire se la macchina abbia urtato o meno La Rosa, i periti hanno analizzato la possibile traiettoria di spostamento del ciclista durante la caduta. Un «andamento longitudinale» per circa 15 metri in cui sono stati recuperati gli occhiali, lo zaino, «una chiazza ematica» e la scarpa sinistra del 29enne. «Tale disposizione longitudinale – si legge nelle carte – non avrebbe potuto determinarsi se la guidatrice, a seguito di urto secco, da toccata o da accompagnamento, avesse ipoteticamente deviato quel tanto alla sua sinistra facendo perdere il controllo alla guida del ciclista». In un caso del genere lo spostamento, sempre stando alla perizia, sarebbe avvenuto in maniera obliqua «con impatto contro la facciata del muro e non lungo il bordo del marciapiede». Per i periti è più ragionevole che la gomma bucata posteriore della bici possa essersi forata «qualora il ciclista avesse intercettato il chiusino posto in dislivello di quattro centimetri rispetto alla superfice stradale di scorrimento, situato a dieci metri dalle striature prodotte dalla bici sulla parte destra del marciapiede». Per i consulenti ci sono quindi «parecchi elementi oggettivi per considerare l’incidente autonomo».