Monti Sicani, dove il turista cede il passo al viaggiatore Il cuore dell’Isola che sta imparando ad aprirsi

Certo che, a parte il caso del dipendente pubblico che nel 2011 chiedeva alla Provincia di Palermo gli straordinari per aver spazzato la neve a luglio, la Sicilia assai raramente è stata sinonimo di montagna. Taormina, Eolie, al massimo l’Etna. Adesso, però, le cose sono cambiate: sempre più spesso, infatti, i piedi della Trinacria calzano scarponcini da trekking, anziché infradito. È il caso dei monti Sicani, terra equidistante e costantemente di confine. Tra Palermo e Agrigento, tra vertigini e profondità, in mezzo al centro. L’ultima Sicilia, forse, dove il turista cede il passo al viaggiatore e la socialità è scandita dalle ore di luce e dai rintocchi del lavoro. 

Cerniera ruvida ma mai inospitale, i Sicani negli ultimi anni hanno imparato ad aprirsi, e allo stesso tempo a conservare gelosamente le proprie tradizioni e produzioni. «La piazza è mia»: il selciato di Palazzo Adriano sembra mettere le cose in chiaro quando dà il benvenuto a chi arriva da Palermo, mentre il Nuovo Cinema Paradiso sfreccia sulla bici di Alfredo e del piccolo Totò, tra i ricami d’oro degli abiti arberesh e il viola dello zafferano in fiore. Questa è l’impressione che si ha, oggi, sui monti Sicani: di come un posto finora nascosto al mainstream del turismo si porga con timido orgoglio e generoso slancio a visitatori di tutto il mondo; di come conosca ogni proprio punto di forza e lo valorizzi con equilibrio e spontaneità. 

Si va verso Agrigento: si susseguono le vette, i castelli medievali e le matrici rinnovano il loro vis-à-vis a ogni borgata; da Giuliana si arriva a Bisacquino tra il verde e l’ocra delle maioliche di Burgio, il ribollire della ricotta e il ticchettìo gattopardesco degli orologi artigianali. Più in là, all’Eremo di Santo Stefano di Quisquina, si incontra il silenzio di Santa Rosalia che si rifugia e quel frumento in più nel tùmmino ribattezzato pizzo della mafia moderna. Fino alla Fattoria dell’Arte di Lorenzo Reina, scultore che serba tra le mani uno scalpello e una promessa strappatagli dal padre: si sarebbe dovuto dedicare anche lui alla pastorizia; è l’ideatore, nonché costruttore, del Teatro di Andromeda, un avanguardistico palcoscenico a strapiombo sulla vallata. Zaino in spalla e si cammina. 

Tra i Sicani, che attualmente incubano anche le nuove tendenze, turismo relazionale e agricoltura sinergica tra tutte, in due ambiti vitali per la Sicilia: turismo e agricoltura, appunto. In mezzo alla gente dei Sicani, che dimostra alla Sicilia intera come l’abitante possa imparare la propria terra e, raccontandola, diventare operatore turistico. Un grandissimo braciere, una tavola essenziale e ricchissima, dove si troverà sempre la carne, quella buona, e la frutta fresca di stagione. Come la pesca di Bivona, città dove per fabbricare una sedia ci si mette una giornata ma per imparare ad impagliarla con le mani ci vuole una vita. A Sant’Angelo Muxaro l’ospite è sacro, a prescindere da chi sia, e il garbo, semplice e paesano, è qualcosa da offrire assieme al pane cunzato

Mentre a San Biagio Platani inizia già la sfida tra madunnara e signurara per la preparazione degli archi di pane pasquali, Aldo, ex applicato di segreteria, invita i suoi ospiti a passeggiare tra le piante officinali del suo giardino, dispensando consigli per avere più coscienza del proprio corpo ed elisir per purificarsi dalle scorie urbane. Da Cianciana si vede già la Valle dei Templi, quando c’è giusto il tempo per riposarsi dalle lunghe camminate in mezzo alla natura e riflettere su ciò che si ha alle spalle: una sorpresa tutta siciliana, un territorio intarsiato di storia e tradizione, ma soprattutto una nuova meta turistica. L’ennesima risposta a quanti pensano che il progresso dell’isola dipenda dalle trivellazioni o dal ponte sullo stretto; a quanti continuano a preferire la politica del voto alle politiche del progetto; a chi pensa che cultura non equivalga a reddito. Un altro emblema di una Sicilia che si svela a poco a poco, come una donna emancipata nel mostrarsi, ma che ride con la mano alla bocca per pudore.

Gino Pira

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