"di flavio mitridate, nome con il quale è entrato nella storia culturale del nostro paese, quasi nessuno ha memoria, eppure è stato uno dei maggiori umanisti italiani, famoso nel tempo che visse anche perché fu maestro di ben più celebri personaggi. Il professore shlomo simonshn, uno dei più grandi pedagoghi del novecento, ne scrive come "il più dotto fra gli ebrei convertiti xv secolo [e che] ebbe, una notevole influenza sull'umanesimo, soprattutto fra gli ebraisti cristiani. . . Fu fra i primi, scrive ancora simonshn, forse il primo in assoluto, a introdurre la khabbalà nella teologia cristiana". Mitridate era un siciliano, di caltabellotta, dove era nato nel 1450. Un siciliano ebreo - figlio del rabbino sabbatai - che, prima della conversione al cattolicesimo, una volta tanto spontanea e non forzata, si chiamava samu'el ben nissim, successivamente battezzato con quello del padrino, il principe guglielmo raimondo moncada. Era così orgoglioso della sua sicilianità, che alla sua firma aggiungeva, sempre, la indicazione "siculus artium magister".
Mitridate tra khabbalà e teologia
“Di Flavio Mitridate, nome con il quale è entrato nella storia culturale del nostro Paese, quasi nessuno ha memoria, eppure è stato uno dei maggiori umanisti italiani, famoso nel tempo che visse anche perché fu maestro di ben più celebri personaggi. Il professore Shlomo Simonshn, uno dei più grandi pedagoghi del Novecento, ne scrive come “il più dotto fra gli ebrei convertiti XV secolo [e che] ebbe, una notevole influenza sull’umanesimo, soprattutto fra gli ebraisti cristiani … fu fra i primi, scrive ancora Simonshn, forse il primo in assoluto, a introdurre la khabbalà nella teologia cristiana”.Mitridate era un siciliano, di Caltabellotta, dove era nato nel 1450. Un siciliano ebreo – figlio del rabbino Sabbatai – che, prima della conversione al cattolicesimo, una volta tanto spontanea e non forzata, si chiamava Samu’el Ben Nissim, successivamente battezzato con quello del padrino, il principe Guglielmo Raimondo Moncada. Era così orgoglioso della sua sicilianità, che alla sua firma aggiungeva, sempre, la indicazione “siculus artium magister”.
Degli anni giovanili di Flavio Mitridate, a parte la memoria di un appassionato dedicarsi agli studi e alla ricerca, non si hanno notizie mentre, intrisi di truculenti racconti, ve ne sono abbondanti, ma non sempre veritieri, degli anni della maturità vissuti soprattutto a Roma. Si sa che Flavio Mitridate, fu un uomo coltissimo, conoscitore di molta parte dello scibile del tempo, che aveva grande familiarità con le lingue dotte. Nella sua “Oratio de hominis dignitate” l’arcinoto umanista bolognese Pico della Mirandola, che gli si fece allievo, scrive di lui: “Aveva cognizione della lingua greca e della latina non solo, ma anche dell’ebraica, inoltre la caldaia e della araba”. Pico ebbe, infatti, una vera venerazione per quell’uomo che gli aveva dato strumenti utili per l’elaborazione del suo pensiero che, come é noto, era impregnato di aristotelismo ebraico e arabo.
Arrivato nella Roma dei Papi – pare attorno al 1477 – una città che consolidava la sua rinascita artistica e culturale proprio per l’impegno dei alcuni grandi e controversi pontefici che in quel tempo si erano succeduti sulla cattedra di Pietro, fu preso a ben volere, divenendone ‘familio’ da uno dei più potenti personaggi della curia. Si trattava del cardinale genovese Giovanni Battista Cybo, sul cui capo, nel 1484, si sarebbe posato il triregno per l’elezione a Papa con il nome di Innocenzo VIII. Un papa la cui fama sarebbe stata negativamente legata alla bolla “Summis desiderantes” che potremmo definire la magna carta della caccia alle streghe.
Il cardinale, introdusse il giovane studioso alla corte pontificia ma, soprattutto, gli spalancò le porte della fornitissima biblioteca Vaticana, permettendogli di attingere al prezioso patrimonio in essa conservato. La frequenza della curia e le voci che correvano sulle qualità culturali del giovane, non potevano che attirare l’attenzione di un Papa rinascimentale, abbastanza discusso ma, certamente, colto e sensibile ai valori letterari ed artistici, qual era Sisto IV.
L’autorevolezza acquisita a Roma alla corte del Papa, gli consentì una occasione, unica per un ebreo convertito. Nel 1481 venne infatti incaricato di leggere, davanti al Papa il solenne sermone del venerdì Santo. E fu l’occasione perché Flavio, l’ebreo converso, redigesse una delle opere più colte del rinascimento italiano, si trattava del “Sermo de Passioni Domini”, testo apprezzato e lodato per la profondità delle riflessioni in esso contenute.Mitridate, la cui convinzione nella fede cristiana era a prova di bomba, si diede anche al proselitismo, inducendo numerosi giudei ad accettare la fede in Cristo. Per questo impegno venne gratificato con benefici direttamente elargitigli dal Papa.
Mitridate fu anche ‘familio’ di un altro noto personaggio rinascimentale, cioè del duca di Urbino Federico di Montefeltro, per il quale eseguì la traduzione in latino di numerosi testi cabalistici. Mitridate fino al 1482 insegnò teologia alla Sapienza.
Costretto per un oscuro delitto a lasciare Roma, si recò prima a Colonia dove, nel 1484, pubblicò “Dicta septem sapientium” poi a Lovanio. Nel periodo in cui fu lontano dall’Italia, ebbe come alunni Giovanni Agricola e Giovanni Reuchlin. Nel 1486 poté, finalmente, rientrare in Italia. Si stabilì a Perugia ospite di Giovanni Pico della Mirandola. Con Pico strinse infatti una solida amicizia seguendolo nel suo spostamento a Fratta, e a Pico, come si é detto, insegnò le lingue ebraica e caldaica e lo introdusse nei segreti della cabala, argomento di studio pericoloso che attirò sull’umanista l’accusa di eresia.
Dunque, una vita intensissima, quella di Flavio Mitridate, conclusasi nel silenzio e nella dimenticanza, basti pensare che non si conosce neppure la data della morte.