Mishelle di Sant’Oliva

Al Teatro Angelo Musco di Catania l’opera di Emma Dante “Mishelle di Sant’Oliva”

 

In meno di un’ora gli unici due interpreti sono stati in grado di rappresentare un intero universo, quello della incapacità di comunicare e della solitudine, per via dell’assenza di una terza protagonista, non nella scena fisicamente ma onnipresente nell’atmosfera stessa e di continuo richiamata nei dialoghi in stretto dialetto, addolciti da qualche “chicca” in lingua francese. La donna in questione, evocata come “a Maronna du Stillariu”, è una ballerina parigina di successo, che abbandona marito e figlio nella più completa desolazione e nel contesto di una Palermo ancora bigotta e troppo provinciale.

 

L’opera, che ha meritato il favore dei presenti in sala, come dimostrato dal prolungato applauso e le numerose uscite degli interpreti sul palco a fine esibizione, è stata ben condotta dalla regia di Emma Dante. La coerenza, dovuta anche all’eclettismo della regista siciliana ( anche autrice e direttrice di scene e dei costumi) è stato elemento determinante per il buon esito dello spettacolo. È riuscita infatti a racchiudere in poche scene la storia di dieci anni di vita-non vita di Gaetano e Salvatore Lucchese attraverso chiari elementi. Due semplici tendine simboleggiano il loro “habitat naturale”: una rossa, come il fuoco della passione che ardeva in Mishelle ora tramandato al figlio e gialla l’altra, come la gelosia, motivo scatenante della separazione fra i due coniugi che continua a rodere dentro il vecchio. Un biberon contiene la linfa vitale del padre, fragile come un bebé bisognoso delle cure e delle attenzioni di una madre-moglie, che adesso egli identifica in suo figlio Salvatore. Infine una collana di perle, reliquia conservata con adorazione dal padre ma profanata dall’altro, perché complice delle sue notti da prostituta nella piazza di Sant’Oliva, acquisirà notevole importanza come mezzo di contatto fisico tra i due.

Ha contribuito inoltre al successo della realizzazione teatrale lo sviluppo di un ritmo interno serrato, quasi si stesse assistendo ad una partita di tennis, dove i due giocatori si rimandano di continuo la palla, senza mai guardarsi in viso, ma sfogando sull’avversario la propria rabbia, in un gioco di azione-reazione.

 

Il tema tragico viene sviluppato sfiorando le corde di un’ironia amara, abbozzata nei mezzi sorrisi e nelle risate sommesse degli spettatori. Gli stessi personaggi alternano momenti di abbandono a scoppi di riso isterico, come un’esplosione della disperazione che li soggioga ormai da anni. Salvatore inciterà il padre, ridotto a larva umana, a ridere “perché la vita è bella”, ma nel contesto in cui tale affermazione è proferita pare perdere qualsiasi connotazione positiva. Questi continui e ripetuti crescendo sono rafforzati per mezzo della musica che, sia cantata dagli attori che in sottofondo, è sempre caratterizzata da un’intensificazione di volume fino ad un picco raggiunto il quale si arresta di scatto. Emblematico lo show del ragazzo sulle note di “Sei bellissima” di Loredana Bertè, quando rivela la sua identità “notturna” ballando come un folle fino al momento dell’exploit in cui all’acuto della cantante corrisponde la sua caduta a terra. Capitolazione e silenzio sonoro. Anche il padre avrà un suo raptus di follia, sempre manifestato nella danza, che è comune denominatore fra le tre figure, o forse “ancora di salvezza” per i due abbandonati alla continua ricerca di un contatto con la Dea assente.

 

Tra le varie cover risalta il canto “a cappella” del ragazzo; risuona in maniera sempre più assordante il ritornello “come le viole anche tu ritornerai” d’incitazione al padre per distoglierlo dall’intento di togliersi la vita (“ma quale vita?” verrebbe da chiedersi). Ritornerà quindi Gaetano, non abbastanza coraggioso per compiere il salto, ma anche Mishelle nelle vesti di Salvatore, in un sensuale ed esasperato abbraccio conclusivo.

“Musica a palla. Stop.”

Benedetta Motta

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