Minoli, quando l’informazione è passione

«Tutte le volte che mi si parla di Giovanni Minoli mi viene detto che è il più bravo ma… La prova che è il più bravo di tutti non è quel più bravo ma proprio quel ma!». Così ha esordito Francesco Merlo, presentando il suo collega giornalista Giovanni Minoli, giovedì 26 novembre presso il Teatro Ambasciatori nell’incontro “Viaggio nel giornalismo. Tra cronaca e storia”, secondo appuntamento della rassegna “Test librinscena”.

Merlo, editorialista de La Repubblica, ha intervistato Minoli, professionista da più di vent’anni nelle reti Rai, oggi direttore di Rai Educational. «Ho lavorato tanto, ho fatto tanta televisione, di tutti i tipi e generi, mi reputo un televisionista in tutti i sensi. Stare alla Rai significa essere lottizzati, ma io credo nell’amore per la libertà. Per competere bisogna essere e scegliere i migliori». Con queste parole Minoli mette a fuoco uno degli argomenti che accompagnerà gli ascoltatori fino alla fine della serata: il ruolo che assume il potere all’interno della televisione, la scelta di un giornalista a scapito di un altro, più bravo o meno bravo non si sa, ma sicuramente schierato dalla parte di un determinato partito politico. Gli aspetti che contano, secondo Minoli, sono invece il talento e la passione, che insieme possono premiare il lavoro di un giornalista a prescindere dalle sue idee politiche.

Durante l’incontro, si è parlato anche della differenza che contraddistingue il giornalismo televisivo da quello della carta stampata: la diversa resa data dagli effetti di montaggio di cui la tv può avvalersi. Vengono così proiettati alcuni video della lunga attività giornalistica di Minoli, come gli spezzoni di Mixer, programma di grande successo degli anni ’80 da lui ideato e condotto, un rotocalco che penetrava nei tanti misteri dell’Italia. Lo scopo era discutere di politica interna, estera, mostrare inchieste, esclusive, interviste faccia a faccia, il tutto attraverso quella qualità di resa che solo la verità può mettere in luce.
«Mixer è figlio di un cambio di tecnologia»
afferma Minoli «un cambio che ci ha obbligati ad un tipo di modalità di scrittura diversa. I ritmi del racconto dovevano cambiare e incorporare il telecomando nel programma. Occorreva una tecnica meno lenta, meno cinematografica». I risultati erano evidenti, anche per il pubblico a casa. In un’intervista faccia a faccia, ad esempio, dove il viso del personaggio intervistato lasciava trasparire tutti i suoi pensieri e sentimenti, con una tecnica di montaggio che, grazie all’alto contenuto espressivo, riusciva a trasmettere più di mille domande e risposte.

Uno spunto che permette un paragone con il sistema del giornalismo televisivo odierno: «Oggi i programmi dell’informazione sono tutti dei talk-show» continua Minoli «programmi che uccidono, che non sono dei racconti e che non aiutano i cittadini né a capire né a crescere. La televisione ha tradito sé stessa, ti vende il Grande Fratello e le veline trasmettendo modelli di valore che arrivano alla gente, la quale fa quello che si dice lì perché è li che passa la cultura popolare». Secondo il giornalista nei talk-show non è più possibile realizzare le interviste secondo lo schema di Mixer perché «i personaggi hanno paura, tutti andrebbero dove si rischia di meno».

Oggi Minoli è impegnato nella cura di Rai Storia, rete sul digitale che offre approfondimenti di tipo storico, socio-politico e culturale. Uno dei suoi programmi di successo è La storia siamo noi, nel quale avviene «il recupero del senso delle cose e di come sono andate, la scoperta di fatti che appassionano i giovani. Visto che non possiamo fare più faccia a faccia facciamo la storia» spiega. E gli ascolti, ancora una volta, gli danno ragione.

Nell’incontro-intervista c’è spazio anche per un omaggio alla Sicilia, dove Giovanni Minoli ha dato vita ad una piccola industria cinematografica per realizzare la sua soap Agrodolce. Una terra dalle infinite potenzialità, nella sua visione, ma che uccide i suoi figli sul nascere. Una Sicilia che potrebbe sviluppare, per il suo suggestivo patrimonio, un’industria della fiction paragonabile, se non superiore, a quella di Hollywood.

A concludere l’incontro è Francesco Merlo, e lo fa con una battuta: «Non esistono un giornalismo televisivo e uno della carta stampata, ma un unico giornalismo al quale collaborano professionisti capaci e altri che lo sono meno».


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