Il Tribunale di Ragusa ha inflitto la pena all'esponente della Stidda. «Ti faccio passare la voglia di vivere, ho preso la mia decisione, di giocarmi la mia libertà», scriveva al cronista che oggi esulta: «Giornata bellissima per la libertà di stampa»
Minacce al giornalista Borrometi, condannato Lauretta Un anno e sei mesi, riconosciuta aggravante mafiosa
Un anno e sei mesi: è la condanna inflitta a Venerando Lauretta, giudicato colpevole dal collegio penale del Tribunale di Ragusa per le minacce aggravate dal metodo mafioso nei confronti del giornalista Paolo Borrometi. Lauretta è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali. Accolte le richiesta della pm della Direzione distrettuale antimafia di Catania, Valentina Sincero.
La condanna arriva a seguito di minacce del seguente tenore: «Metterò il tuo cuore in padella e me lo mangerò, ti verro’ a trovare pure che non vali i soldi del biglietto». E ancora: «M… che cammina ma non per molto, sarò dietro la tua porta, mi viene da ridere pensando al giorno che sarai tra le mie mani, ti accecherò con le mie mani, non ti salverà neanche Gesù Cristo. Ti faccio passare la voglia di vivere, ho preso la mia decisione, di giocarmi la mia libertà. Anche se mi arrestano, c’è chi viene a cercarti».
La difesa di Lauretta, rappresentata in aula dall’avvocato Enrico Cultrone, nella sua arringa ha evidenziato che per la difesa non risulta certa la prova di colpevolezza del Lauretta, perché non sarebbero stati eseguiti gli accertamenti tecnici per individuare il codice identificativo che avrebbe permesso di risalire a chi effettivamente ha inviato i messaggi. Anche per questa ragione il legale ha chiesto in prima battuta l’assoluzione e in subordine l’esclusione dell’articolo 7, cioè dell’aggravante del metodo mafioso ed il minimo della pena con la concessione delle attenuanti generiche, perché quella di Lauretta fu una reazione di rabbia al contesto maturato su Facebook, che lo avrebbe esposto alla «gogna mediatica».
Di opposto avviso la pm Sincero. «Nei testi dei messaggi ci sono riferimenti individualizzanti dell’imputato – ha detto durante la requisitoria -. Se il Lauretta avesse voluto dimostrare la sua estraneità, avrebbe potuto farlo attraverso gli strumenti di legge per disconoscerli o segnalare un utilizzo anomalo o non autorizzato del suo profilo». Le minacce inoltre, secondo l’accusa, avrebbero avuto una chiara connotazione riferibile all’aggravante contestata, quella del metodo mafioso: «Per numerosa giurisprudenza l’aggravante non risiede nella prova dell’appartenenza ad un clan ma rileva il fatto che comunque la condotta si sia esercitata in contesto tradizionalmente interessato da organizzazioni di stampo mafioso e Vittoria lo è storicamente». Sincero ha comunque ricordato che Lauretta ha una condanna per 416 bis divenuta irrevocabile e che «attesta l’inserimento in una organizzazione stiddara facente capo ai Carbonaro Dominante, il che è ulteriore tassello per aggravante contestata».
«Oggi – ha commentato Borrometi – penso che sia una bellissima giornata per la libertà di stampa; la condanna del boss Venerando Lauretta che segue quella di Francesco De Carolis e di Giambattista Ventura, rappresenta la testimonianza che nessun clan e nessun boss mafioso può rimanere impunito quando minaccia un giornalista».