Miele di Zafferana, etichette bluff nei supermercati Apicoltori: «Presto costretti a prenderlo dalla Cina»

Il miele prodotto alle pendici dell’Etna è considerato, per tradizione, un’eccellenza. Anche se non è un marchio Dop  (al contrario, per esempio, di quello delle Dolomiti), l’assenza della certificazione non incide sulla scelta che compiono molti consumatori catanesi davanti agli scaffali del supermercato. Lì, tra due barattoli dal prezzo simile, gli avventori sono portati a scegliere il cosiddetto oro dell’Etna, perlopiù proveniente da Zafferana Etnea, città che ha una lunga storia di apicoltura alle spalle e che fino a qualche anno fa, secondo i dati del Comune, produceva il 15 per cento dell’intero comparto italiano. In diversi casi, però, i vasetti hanno richiami al vulcano attivo più alto d’Europa e al territorio zafferanense ma contengono miele straniero perché a Zafferana Etnea vengono solo confezionati. «È come un biglietto da 50 euro che in piccolo ha la scritta Fac-simile: bisogna essere molto attenti a trovarla», commenta il presidente del Fai Sicilia Vincenzo Stampa

Nelle sei maggiori catene di supermercati presenti a Catania – A&O, Simply, Decò, Forté, Ard discount e Iperfamila – le persone che vogliono comprare un vasetto di miele locale possono scegliere orientativamente tra dodici marche. Di queste, sei contengono miele effettivamente prodotto e confezionato a Zafferana Etnea. Al contrario di cinque che nella città pedemontana effettuano solo il confezionamento ma contengono mieli di origine spagnola o ungherese, mentre una marca usa un prodotto di provenienza genericamente italiana. Di questa ulteriore scrematura, almeno la metà ha etichette che parrebbero sfruttare la poca chiarezza di una normativa europea non ancora definita. A queste bisogna aggiungere i colossi nazionali e multinazionali che si trovano sugli scaffali dei supermercati catanesi e che informano chiaramente di avere confezionato in Italia mieli provenienti da Romania, Ungheria, Polonia, Serbia, Croazia e Cina. I quali, con tutti i costi di importazione, risultano più convenienti per i marchi più grossi. 

L’etichettatura di una confezione di miele segue regole precise che prevedono diciture obbligatorie, facoltative e non ammesse. Le prime devono informare su: contenuto (miele o miscela di miele), lotto, peso, tempi di conservazione e, nello stesso spazio visivo, contenere i nomi del produttore, del confezionatore e del distributore. I dati facoltativi sono due: origine geografica e quella floreale. Le diciture vietate sono miele migliore del mondo, prodotto eccezionale e simili. «Purtroppo le normative, come si può facilmente capire, lasciano spazio a pratiche commerciali scorrette, nonostante l’Unione europea stia cercando di porvi un freno – racconta un apicoltore che preferisce rimanere anonimo – La crisi del miele locale, che c’è, in alcuni casi però è solo la scusa delle aziende medio-grandi per importare e miscelare miele estero». «Questa della miscelazione è una pratica di aziende importatrici nazionali che però dovrebbero evidenziarla in etichetta», precisa Stampa.

Un episodio che nel Catanese ha fatto scuola, a livello di etichetta, è quello che ha coinvolto la ditta Perla alimentare srl di Zafferana Etnea. Quasi un quarto del miele che si trova negli scaffali dei supermercati etnei analizzati da MeridioNews arriva da questa azienda, la quale lo confeziona per diversi brand: Miele millefiori, Perla dell’Etna e Perla di Miele. L’impresa, nel 2011, è stata sanzionata dall’Antitrust con una multa da diecimila euro «per avere indotto in errore i consumatori riguardo alle caratteristiche principali del prodotto con forti richiami alla Sicilia ma, che, in realtà, è di origine spagnola, secondo l’indicazione riportata a caratteri minuscoli sulla capsula di ogni confezione», si legge nelle motivazioni del provvedimento. Un caso dopo il quale l’azienda è stata obbligata a inserire in maniera più evidente l’origine del prodotto sull’etichetta del barattolo. Cosa che effettivamente è avvenuta.

Il prodotto che parte dai Paesi europei ed extraeuropei viene confezionato nella Città del miele, arriva sugli scaffali dei supermercati catanesi e costa al massimo un paio di euro in meno al chilo rispetto a quello di produzione e confezionamento zafferanense. «Ovviamente un qualunque richiamo a Zafferana Etnea, soprattutto per il miele di agrumi, attira di più perché è un simbolo, una tradizione e per chi lo compra anche una garanzia. A volte però, non facendoci attenzione, le persone comprano il miele che richiama la Sicilia ma viene chissà da dove», spiega il presidente dell’Api. È per questo che a volte nei vasetti di miele, soprattutto in passato, i richiami al vulcano attivo più alto d’Europa, al territorio zafferanense e ai simboli siciliani (la zagara o la Montagna) erano forti nonostante il contenuto non locale. «Purtroppo a tutto questo bisogna aggiungere che negli ultimi anni il nostro miele sta vivendo un forte periodo di crisi dalla quale speriamo di uscire molto presto. Ma non sono a conoscenza di apicoltori di Zafferana che importano e poi commercializzano il miele come se fosse loro», racconta ancora Stampa. 

Il settore dell’apicoltura siciliano, infatti, comincia ad annaspare nel 2015. Tra quell’anno e il 2016 si è registrato «un calo di produzione del 70 e dell’80 per cento per via di un cambiamento climatico che ha stressato le piante», spiega l’esperto. «Non siamo ancora in grado di quantificare i danni che ci sono stati nel primo trimestre del 2016», precisa l’apicoltore. «Il problema riguarda l’assenza di un lungo periodo d’inverno, e quindi di freddo, che non permette ai fiori di riempirsi di nettare in primavera – afferma – È un fenomeno pericoloso che è iniziato, seppur blandamente, circa undici anni fa». A questo si aggiungono i periodi di siccità, il forte vento, le malattie (come la varroasi), la perdita di colonie di api, il degrado dell’ambiente di foraggiamento e soprattutto «la concorrenza delle importazioni di miele a basso costo da Paesi terzi», spiega Stampa. Il riferimento è all’ultimo rapporto della commissione europea relativo al settore dell’apicoltura. «Se non si trova una soluzione a tutti questi problemi, il miele sincero potrebbe scomparire e, pur avendo una forte tradizione di miele locale, saremo costretti a farci spedire quello pastorizzato dalla Cina», conclude. 

Cassandra Di Giacomo

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