Culo era il suo tag, il suo soprannome, e con lo stesso è riuscito, durante la fine degli anni ’90, a graffiare parecchi muri. Rapito dall'esigenza di comunicare in modo viscerale, si accosta al punk, dirigendosi verso i percorsi delle occupazioni. Poi l'EscherHouse e infine lo studio in via Pilo, dove cerca di educare al tatuaggio
Michele Ruvolo, dall’Ultragas a Good Fellas Il writer di strada che diventò un tatuatore
«Per underground intendiamo tutto ciò che è sottocultura, no? Tutto ciò che ci accompagna nel quotidiano, che ci distanzia dall’omologazione che siamo abituati a vivere e vedere e che parte dal basso. Quindi, tutta la musica, i pensieri, l’attitudine e i concetti che rompono gli schemi». In via Rosolino Pilo, nei pressi del Teatro Massimo, esiste una realtà divenuta crocevia di mondi, età, fazioni, culture, mode. Quel posto è il Good Fellas Tattoo Studio. Uno degli animatori è Michele Ruvolo.
«Con Good Fellas qui a Palermo, dove la realtà del tatuaggio è ancora abbastanza lenta, stiamo cercando di educare le persone a scegliere il tatuatore in base a quello che è il disegno desiderato. Tentiamo sempre di dare il massimo delle informazioni, capiamo cosa la persona vuole fare e la indirizziamo, in base allo stile richiesto, verso uno dei tatuatori impiegati nel nostro studio. Una volta la gente rimaneva spiazzata, ma da quattro o cinque anni apprezza. Stiamo avendo un buon riscontro, si fa il tatuaggio sotto un’altra ottica culturale, non soltanto basandosi sull’estetica».
Allontanandoci di qualche passo dalla storia dello studio e da un’accurata analisi di ciò che un segno indelebile sulla pelle possa significare, ci inoltriamo sulle sfaccettature che hanno fatto forte la personalità del nostro protagonista. Michele Ruvolo, molti anni fa, era un writer, viveva la strada correndo una maratona continua a fianco del substrato underground che riempiva gli angoli sperduti della nostra città. Culo era il suo tag, il suo soprannome, e con lo stesso è riuscito, durante la fine degli anni ’90, a graffiare parecchi muri. Rapito da ciò che non era la musica commerciale del tempo, ma da un’esigenza del comunicare in modo viscerale, si accosta al sostrato punk, dirigendosi verso percorsi delle occupazioni.
«Più che di un centro sociale, ho sempre fatto parte di squat qui a Palermo – racconta – Per noi l’esigenza era di avere una casa, un luogo solo nostro, da vivere, da mantenere. Occupammo una fabbrica vicino al vecchio Città Mercato, l’Ultragas, in Via Ugo La Malfa. Il primo anno riservammo l’intero spazio all’organizzazione logistica, perché volevamo esprimerci al meglio, rimanendo comunque distanti dalle politiche, a differenza di quanto poteva sembrare per l’attività di un centro sociale, per esempio il Goliardo o l’Ex Karcere di un tempo. All’Ultragas – prosegue Michele – ho lasciato un pezzo di cuore. Filastrocche e amori non esistevano, noi ascoltavamo i gruppi forti: il punk, l’hardcore, il rap con certi testi, i gruppi autoprodotti».
L’Ultragas Squat, divenuto dai primi anni del duemila un luogo fulcro della scena punk hardcore palermitana, vide al suo interno l’alternarsi di moltissimi momenti musicali oltre che di attività che variavano giornalmente. Dall’esterno poteva apparire decadente, oscuro. Era pieno di graffiti. Due enormi silos sovrastavano l’intera area, quasi fossero colonne di un tempio greco, e la notte ogni millimetro di quel posto si accendeva e si infuocava. Si potrebbero citare gruppi come Cripple Bastards, Duap, Strength Approach, Once Again, No Way Out. Capisaldi di un genere musicale che a molti risulta a oggi ancora troppo rumoroso.
Non fu però, l’unico luogo che Michele ha frequentato prima di impugnare una macchinetta alimentata e inchiostrare tessuti e arti. Anni dopo si trovava un altro posto che fa ancora parlare di sé tra gli appassionati: era un edificio enorme, spaventoso, vicino alla Fiera Del Mediterraneo. Lo chiamavano EscherHouse. I concerti e le feste si svolgevano nella zona sottostante, una specie di immenso garage al quale si accedeva da una ripida discesa piena di rovi. Michele era quasi sempre presente ai concerti e, come quando frequentava l’Ultragas, munito di videocamera, tentava sempre di fissare un ricordo di quei momenti. Aveva ancora dei lunghi dreadlock.
Il tempo scorre, alcune di quelle realtà spariscono, ma l’amore per l’arte e il disegno non abbandonano il nostro protagonista, che incontra nel suo percorso una nuova realtà: il tatuaggio. In combutta con un altro giovane tatuatore palermitano, Sandro Stagnitta, decide di fondare un marchio, che divenne dopo altalenanti periodi trascorsi in studi e cantine periferiche, il Good Fellas Tattoo Studio. Via Isidoro La Lumia è stata la prima location ufficiale. In quella strada esisteva già un altro piccolo negozio, Yankee, punto d’incontro fisso per la scena skate ed hip hop palermitana. Da lì in poi la storia li ha portati a un patto fondamentale, alla creazione di una sorta di micro mondo, proprio in Via Rosolino Pilo. Qui Good Fellas e Yankee convivono: due locali collegati dove si svolgono le attività e si organizzano meeting e iniziative, adesso importanti per il nostro sostrato underground.
«Stiamo cercando di educare le persone a scegliere. Lo stile tradizionale giapponese e la passione per il dipingere non muoiono mai, resistono. Ultimamente fa figo essere tatuati e lo si vede anche nelle convention. Una volta, quando ti chiedevano il mezzo braccio, era un evento, adesso ti chiedono un braccio intero. La gente deve capire che le mode passano e il tatuaggio resta. Oggi, forse, questa cosa sta sfuggendo un po’ di mano. Altro discorso è la passione. Chi sarà interessato ad approfondire, conoscerà sempre di più questo micro mondo. Un po’ come è stato per il punk».