Fuori c’è il mare in tempesta. E non è detto, per il Pd siciliano ma non solo, che il sole rispunti presto. Quattro anni fa in pochissimi avrebbero potuto prevedere che la seconda puntata europea di Michela Giuffrida avrebbe dovuto giocarsi in un contesto politico dal sapor di ultima chiamata per il centrosinistra. «Quando sono stato eletta eravamo al 40,8 per cento, fa impressione solo a pensarci». Lo ricorda lei stessa alla platea radunatasi in un hotel di Catania per salutare la sua (ri)discesa in campo. La sala è piena, ed è tutto un ritrovarsi di sorrisi e saluti fra piani alti, sostenitori e giovani del terremotato pianeta dem. In mattinata, invece, erano stati volti tirati e nervosismo a farla da padrona. Sempre a Catania, alla prima conferenza stampa di Teresa Piccione dopo il gran pasticcio delle primarie regionali, rinnovata certificazione dell’esistenza di due partiti inconciliabili in uno. E così, fra l’assedio dei populisti e di chi «vuole destrutturare l’Europa – dice Giuffrida – per come la conosciamo» e la guerra civile dei democratici ridotti al 18 per cento, l’eurodeputata chiama tutti allo sforzo comune davanti a minacce politiche che potrebbero davvero riuscire a fare tabula rasa del Pd.
Nel 2014, anche per qualcuno che oggi si trova a sostenerla, passava per l’ospite indesiderata da 93mila voti di un partito che cambiava pelle sull’onda della cooptazione renziana. Quattro anni dopo Lino Leanza e Articolo 4, l’ascensore per l’Europa e un posto in prima fila nel centrosinistra dell’ex giornalista di Antenna Sicilia, non ci sono più. Michela Giuffrida propone così una candidatura-certezza per un Pd dilaniato, una scialuppa in quel mare in tempesta dove occorre guardarsi le spalle anche dai compagni di partito renziani. Chiave politica che ha attecchito nell’area Zingaretti etnea. Ma non ci sono soltanto il deputato Ars Anthony Barbagallo e il duo Angelo Villari-Concetta Raia dal fronte Cgil, alleati di nuovo conio nel nome del fratello di Montalbano, a guidare le truppe. Rispunta in sala la vecchia guardia di nomi come l’ex ministro Salvo Andò o l’intramontabile ex sindaco di Riposto Carmelo D’Urso, e tanti trenta-quarantenni attivi localmente, che hanno visto una speranzosa gavetta spegnersi nelle secche di un partito in perenne crisi d’identità. Ci sono residui del crocettismo come l’ex assessore regionale Luigi Bosco e apporti da fuori provincia, come Bruno Marziano e qualche sindaco dell’Ennese. «Un pezzo importante del Pd è qui», dice Giuffrida.
Di renziani manco a parlarne. Eppure la loro malcelata idea di aprire il Pd ai centristi, ai «moderati» tanto a loro agio con il neo-segretario regionale della discordia Davide Faraone, cos’è se non l’indicibile (tentato) adattamento alla galassia politica isolana di quella «maggioranza antipopulista» che controlla il parlamento di Bruxelles e Strasburgo. Partito popolare europeo più Socialisti e Democratici, gli S&D nei manifesti di Giuffrida. È l’alleanza europeista fra azzurro e rosso il riferimento dell’eurodeputata. «Non ho usato il simbolo del Pd perché S&D è il mio gruppo, lì dove ogni giorno ho fatto gli interessi di chi mi ha votato». Tenendosi ben lontana da polemiche e panni sporchi, gli contesta qualcuno. «Non entro nelle guerre politiche – si giustifica l’onorevole – perché penso sinceramente che un deputato europeo debba rappresentare il territorio che lo ha scelto, noi siamo eletti con le preferenze, non nominati».
Un cenno ai «giorni difficili» del Pd, «partito bersaglio di tutti», deve però arrivare. «La conflittualità non ci fa bene – dice Giuffrida – e dunque sollecito un dibattito leale, le regole devono essere regole da non stravolgere». Sembra facile. La giostra impazzita dello scontro interno «su cose che tanti, tantissimi neanche comprendono» deve fermarsi. «Siamo all’opposto di quello che chiedono elettori – analizza ancora – e davanti alle liti ho un senso di disorientamento, ma sono convinta che possiamo ancora recuperare gli elettori che se ne sono andati». Michela Giuffrida, a meno di nuovi cataclismi dem, in lista ci sarà.
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