Metti una sera a Teatro, tra il clima torrido, l’eccellente orchestra, cantanti fuori tono, dentro un palco scatoletta

CRONISTORIA DI UNA SERATA AL TEATRO MASSIMO TRA NOVITA’ E VECCHIE ABITUDINI

 

di Barbara Morana

Domenica scorsa sono andata al Teatro Massimo, ero impaziente di vedere il “Il Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, l’opera che contiene l’aria che più amo al mondo. Suggestivo l’impatto visivo della scena iniziale, bella l’idea di un set mobile diviso in quattro blocchi che riproducono una costellazione del mistico Mirò e che a loro volta celano la facciata e gli interni della casa di Don Bartolo, anche se oggi con l’incipiente rivoluzione separatista catalana, mi fa sorridere che per rappresentare la Spagna e nello specifico la città di Siviglia si sia scelto proprio il più catalano degli artisti spagnoli. Comunque visto che si tratta di un allestimento ideato nel 2010 il mio giudizio risulta un anacronismo senza senso, devo peraltro ammettere che è molto bella l’idea di far partire il dramma comico dal simbolico e astratto universo di Mirò, che si materializza in seguito grazie a una serie di omini gialli che sembrano usciti da un film di Fellini,  burattini senza fili incaricati dei cambi di scena attuati in vivo e in diretta innanzi allo spettatore.

Ora mi piacerebbe raccontarvi quanto sia stato bello vedere il sipario aprirsi su un’immagine di Joan Mirò e proseguire narrandovi le mie impressioni sul primo atto… ma come non dirvi delle mie mésaventures causate da  “sovraffollamento da palco” una domenica nel tardo pomeriggio sul palco 9/D Ordine II Posto n.4/5, con 38 ° circa e senza via d’uscita fino alla fine del primo atto.

Ora vi starete chiedendo: ma codesta fanciulla ha sempre problemi con la temperatura, non sarà mica insofferente? Giuro che faceva davvero un caldo afoso, non si respirava eravamo in sei in uno spazio minuscolo; senza contare  l’aggravante olfattiva, le due signore accompagnate dai rispettivi mariti indossavano una quantità insostenibile di eccellentissimo profumo, chiaramente non lo stesso anzi direi che le loro fragranze facevano a pugni l’una con l’altra e tutte e due con le mie povere narici già provate dal fumo della mia rabbia che fuoriusciva sotto forma di vapore acqueo da quando avevo scoperto che ahimè i posti 4 e 5 della lussuosissima suite 2x2m², pagata allo stesso prezzo dei signori che ci accompagnavano, davano direttamente sulla capoccia di uno di loro e su un misero spicchio di palcoscenico.

 

Bene, non lasciandomi abbattere dal disguido mi alzo decisa a passare il resto del primo atto in piedi dietro lo spilungone che sta comodamente seduto al posto n. 6 e  ha letteralmente preso il nostro spazio confinandoci alla parete come fossimo indegni di gioire della sublime visione giacché ignari della sfiga assegnata ai posti 4 e 5. Lo zelante suocero ci aveva infatti spiegato che il posto 6 stava proprio dietro il posto 3 e quindi aveva sistemato le sedie come vuole la tradizione. Dopo averci consigliato di non prendere più quei posti sfortunati si era seduto con estrema nonchalance accanto alla moglie e alla figlia commentando quante persone indossassero giacca e cravatta e lamentando l’inciviltà di chi, ahimè, oramai va al teatro senza seguire l’etichetta vestimentaria, alla quale lui invece si atteneva scrupolosamente. Un uomo d’altri tempi evidentemente,  che oltre alla cravatta indosssava anche dei paraocchi  impedendogli di constatare che la bellezza di un’opera sta proprio nella reinterpretazione che una nuova generazione riesce a dare di essa. Non vi sto a descrivere la sua faccia quando ha visto entrare in scena il Direttore d’orchestra Stefano Montanari, in maniche di camicie, borchie e stivaletti assortiti. Ha guardato nuovamente la famiglia gridando allo scandalo: “ un direttore in magliettina, questa poi… non c’è più mondo”.

 

Intanto io gridavo silenziosamente contro l’ingiustizia. Mi sono lamentata con la maschera che a sua volta ha riferito al direttore, che a sua volta se ne è infischiato, eppure l’avevo invitato ad assistere con noi allo spettacolo da quello splendido scorcio di paradiso. Quindi in piedi cercando di capire come salvare almeno il secondo atto ascoltavo pensierosa il primo, la cavatina di Figaro “Largo al factotum”, quella di Rosina “Una voce poco fa” e poi la splendida aria di Don Basilio “La calunnia è un venticello”, dirvi che sono andata al teatro solo per ascoltare quest’aria non sarebbe mentire. Fu quando ascoltai Bartolo cantare l’aria “A un dottor de la mia sorte…figlia mia, non lo sperate, non mi lascio infinocchiar” che trovai la forza di non farmi a mia volta infinocchiar, quindi ero risoluta a porre fine a quello scempio e migrare verso altri palchi, vuoti o quanto meno più assortiti ove la vista fosse più grata e la compagnia più cortese. Intanto mi godevo la scena finale del primo atto la cui coreografia era un omaggio al film “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin.
Vado al teatro da una vita, sono stata nei migliori teatri lirici del mondo ed era la prima volta che mi capitava una cosa del genere, ovvio che esistano posti migliori di altri, è solo una questione di prezzo, ma ogni poltrona dovrebbe permettere al pubblico di poter usufruire dello spettacolo per il quale hanno pagato.
L’opera purtroppo oggi sembra una prerogativa di pochi eletti, croce e delizia di chi può permettersela, se a questo si aggiunge la cafonaggine di una direzione poca attenta al cliente e l’aria insalubre che vi si respirava giacché il teatro non dispone di un sistema di climatizzazione o quanto meno non lo usa, non è sorprendente che l’opera di Palermo faccia acqua da tutte le parti.

A parte i problemi di respirabilità che hanno a che vedere con un fatto tecnico, sul prezzo un giorno anche noi forse riusciremo a rendere l’opera più accessibile a tutti, proponendo prezzi  sostenibili o delle lotterie come fanno al MET di New York. Lì una volta la settimana  sorteggiano 200 posti “discreti” acquistabili dai fortunati vincitori a soli 25 $, ma una cosa è certa signori: bisognerà già da ora abolire posti com e il n. 4 e 5 del Palco 9/D Ordine II.

Eccoci comodamente seduti in un altro palco, grazie a un angelo, ovvero una maschera, venuta in nostro soccorso, pronti a goderci finalmente lo spettacolo. Il secondo atto si apre ancora una volta su uno splendido scenario, delle strutture geometriche rosse, che delineano e delimitano gli ambienti della casa di Don Bartolo, flottano nell’aria appesi a dei fili trasparenti, sembra di stare dentro un sodalizio scultorico tra Sol Lewitt, Gino De Dominicis e Hidetoshi Nagasawa, veramente bello.

Adesso possiamo concentrarci sulla musica e soprattutto sulle voci. Il Barbiere di Siviglia e tutte le opere di Rossini in generale, buffe o serie, nascono da un equilibrio calcolato tra la voce e la strumentazione, Rossini serve sempre con la sua musica le ragioni della voce e lo fa in modo sublime. Ascolto con molta attenzione il secondo atto credendo di non aver goduto del primo perché distratta dall’infortunio. La musica è sottile sembra volare sul palcoscenico per sorreggere gli interpreti, conduce le voci senza mai sovrastarle o oscurarle, come insegna Rossini la musica accompagna discreta, quasi occultandosi,  perfetto sodalizio creato per consentire alla voce di mettersi in mostra. Quindi Bravo al maestro Montanari e all’orchestra da lui diretta, perfetta direzione e splendida esecuzione.

Passiamo dunque al registro canoro, Rossini chiama l’artista con la sua voce a interpretare con la tecnica e  l’intelletto il personaggio affidatogli, egli o ella deve essere in grado di eccellere non soltanto nella tecnica ma anche e soprattutto nella cura del “colore”, ovvero delle sfumature espressive della voce, come quando si pronuncia uno scioglilingua, lo si deve fare alla velocità giusta pronunciando esattamente tutte le parole contenute in esso, conferendogli il ritmo e la cadenza richieste dalla situazione.

Quindi nelle opere buffe di Rossini e non solo, la voce sale, scende, si ferma, per poi ripartire quasi singhiozzando, sovrana conferisce il ritmo alla scena, esalta lo scherzo, sottolinea l’eccesso. La coloratura non è una prerogativa dei personaggi principali, tenore, contralto, baritono, ma anche del basso buffo, del basso e del coro, tutti all’unisono fanno si che il dramma comico si compia in scena con l’ausilio della madre musica, è un meccanismo sottile e delicato e se uno di questi elementi, per una ragione o per un’altra, s’inceppa il miracolo non si compie.

Fatta questa premessa, posso affermare che durante il primo atto sono passate quasi inosservate o per lo meno senza lasciare traccia al mio sensibile orecchio pezzi scritti e orchestrati per scuoterti l’anima grazie alla potenza e la coloratura della voce, la cavatina “Una voce poco fa” per esempio, quando arriva al punto dove Rosina canta”… Io sono docile, son rispettosa, sono obbediente, dolce, amorosa” , il teatro trema, il cuore palpita, gli animi esultano. Beh io non l’ho sentita, ovvero forse l’ho sentita ma l’ho già dimenticata, stessa cosa per arie più famose affidate agli altri personaggi. Quindi la voce non era all’appuntamento questa volta, mi dispiace ma nulla di straordinario da segnalare dal lato canoro.

Di questo Barbiere ricorderò l’eccellente direzione dal maestro Montanari, la soffice e trasparente musica eseguita dall’orchestra, l’originale scenografia di Angelo Canu e i bei costumi di Marja Hoffmann. Per ultimo di quella domenica Conservo l’immagine di questo Direttore Rock, si proprio quello che ha diretto il Barbiere in maglietta e stivali scandalizzando i miei vicini di palco, che è riuscito a sorprendermi facendomi finalmente capire cosa veramente esigesse Rossini da una sua opera e da chi la interpreta, infatti è proprio quando uno degli elementi di questo perfetto connubio  manca che si fa palese l’equilibrio e l’intelletto rossiniano.


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